Come un fuoco fatuo si è ri-acceso il dibattito sulla cosiddetta Grande Pescara. Le considerazioni già sviluppate dai professori Mascarucci e Zazzara, nei principi ampiamente condivisibili, sono però a mio avviso datate. Una consultazione popolare ha messo fine al parlare cedendo il protagonismo al fare. Il 67% di consenso non sarà stato un plebiscito, ma è stato certamente un classico 2-0. Dibatterne ancora negli stessi termini del 2014 pre-referendum potrebbe dare l'idea di un tema ancora aperto. La proposta referendaria, pur con alcuni limiti, peraltro condivisibili, ha partorito un percorso approdato a una legge, che ora deve essere semplicemente attuata. Piuttosto ci sarebbe da dibattere fino alla indignazione sulla protervia dei decisori di oggi, alcuni dei quali manifestano ancora una parvenza di resistenza asserragliati su posizioni stantie, o sulle tenebre di commissioni che, in anni dì oscuro lavoro, non ancora riescono a partorire neppure il classico topolino. Per fortuna mi pare sia previsto un intervento commissariale, ormai ultima spes per uscire dai buchi neri che a volte si aprono in talune istituzioni.
Della Grande Pescara si dovrebbe trattare, con tempestività e concretezza, nel senso che si dovrebbero proporre soluzioni e valutarne passo passo, gli impatti e il gradimento dei cittadini. Occorrono tecnici abituati ad armonizzare sistemi. A ciò si aggiunga che a mio avviso già da tempo, tutte e tre le Amministrazioni avrebbero dovuto cominciare ad affrontare alcune problematiche con una visione d'insieme, una per tutte la gestione dei rifiuti. Con lo stesso spirito avrebbero dovuto già dare corso ad una comune pianificazione urbanistica e commerciale e a un unico piano della mobilità sostenibile.
In questo quadro se le responsabilità della classe dirigente dei Comuni più piccoli sono evidenti nella persistente chiusura su problematiche locali, quelle della classe dirigente del Comune capoluogo sono ancora più gravi. I decisori e i pensatori pescaresi, che avrebbero dovuto assumere la guida del processo in corso, mostrando capacità di visione, ragionano invece istintivamente in termini di annessione senza comprendere che la città di Pescara senza l'espansione territoriale, soprattutto collinare, verso il territorio di Spoltore e quello di Montesilvano, è una città chiusa, destinata a soffocare.
Il nuovo Stadio e un Palaeventi adeguato alle ambizioni che si nutrono vengano localizzati sulle colline di Spoltore, si dia avvio senza indugio alla funzionalità della metropolitana di superficie (ex Filobus) programmando già sia la sua estensione verso Spoltore che quella oltre Montesilvano, si riprogetti una nuova tangenziale con un percorso che si allarghi di più verso l'interno e passando tra o sotto le colline arrivi fino all'A14, nei pressi di quel casello vicino Cappelle annunciato da anni, una nuova grande Biblioteca si localizzi nella ex-colonia Stella Maris, un nuovo Cimitero monumentale sulle colline oltre Pescara e tra i due Comuni partner, un nuovo Teatro nell'area che chiamano Parco nord nei pressi delle Naiadi. Insomma, per la Grande Pescara bisogna pensare in grande. Infine un'ultima considerazione. La fusione tra Comuni non è una invenzione nostrana. Né un fenomeno nazionale. È piuttosto la risposta che in tutta Europa il legislatore pone verso problematiche analoghe. È tipica però delle nostre parti la cultura politica e amministrativa che fa sì che solo 4 su 141 iniziative riguardino il sud del Paese. È del tutto evidente che con circa 200.000 abitanti interessati la nostra esperienza avrebbe potuto costituire un laboratorio da portare alla attenzione della conferenza Stato-Regioni e da questa sui tavoli della Ue.
(*) Ex amministratore pubblico