Data: 26/07/2020
Testata Giornalistica: IL MESSAGGERO |
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«No ad Autostrade statalizzata pronti a ricorrere a Bruxelles» Il ceo di Tci Hohn: «Il governo ha violato le regole costituzionali e comunitarie espropriando l’azienda».
«Il valore di Aspi è 11-12 miliardi, non si possono penalizzare i soci esteri con operazioni al ribasso» ROMA Signor Christopher Hohn, lei è fondatore e managing director di Tci, uno dei più importanti fondi d'investimento internazionali. Il governo italiano sta avviando una sorta di nazionalizzazione di Autostrade per l'Italia, spingendo Atlantia a cedere le proprie quote a Cdp per evitare di fatto la revoca della concessione. Che cosa pensa di questa operazione? «Ritengo che le azioni intraprese dal governo italiano confliggano sia con i principi costituzionali che con la normativa comunitaria. Ciò che è stato fatto relativamente alla vicenda Aspi vìola i principi di certezza del diritto, delle legittime aspettative degli investitori e della proporzionalità. Siamo di fronte a una volontà di esproprio, il cui effetto sarà una perdita di valore del capitale degli investitori internazionali, che saranno scoraggiati dall'investire in Italia proprio nel momento in cui il vostro Paese ha urgente bisogno di investimenti stranieri». Il nodo del valore di Autostrade è al centro della trattativa con lo Stato, che da un lato è il regolatore e, dall'altro, l'acquirente. Siamo di fronte a un evidente conflitto d'interesse? «Qualsiasi forma di transazione riguardante la partecipazione di Atlantia in Aspi dovrà essere effettuata al giusto valore di mercato. Ricordo che Allianz, Silk Road Fund e Edf hanno pagato l'equivalente di 15 miliardi di euro per acquisire delle quote di partecipazione nel 2017. Considerando l'impatto del Covid-19 e le misure correlate alla proposta di transazione, riteniamo che un valore equo di Aspi sia di circa 11-12 miliardi. Le attuali proposte del governo italiano per un aumento di capitale di Aspi a un prezzo coercitivo e non determinato dal mercato sono abusive, non trasparenti e distruttive del valore creato». La quotazione in Borsa è una soluzione sufficiente per poter dire che si tratta di una operazione di mercato? «Uno spin-off diretto di Aspi sul mercato - insieme a una vendita diretta di una partecipazione di Edizione a una platea ampia di investitori, inclusa Cdp - a un prezzo equo è un modo per soddisfare la volontà del governo italiano. Questa modalità garantirà un processo trasparente ed equo per tutti gli investitori». Anche Cdp, futuro azionista pubblico, ha forti dubbi ad investire in Aspi se le tariffe, come sembra, non saranno in grado di ripagare gli investimenti. Che cosa pensa di ciò? «Per Cdp sarebbe senza ombra di dubbio un cattivo affare. Gli investitori stranieri verranno inoltre dissuasi dall'investire in Italia. Proprio per evitare questi rischi nasce la nostra proposta di un processo equilibrato, trasparente ed equo per determinare le condizioni di un accordo di mercato». Al di là delle responsabilità per il crollo del Ponte di Genova, tutte da accertare, ritiene che il cambiamento delle regole in corsa finirà per allontanare gli investitori esteri dall'Italia. «Non abbiamo il minimo dubbio. Gli investitori sono alla ricerca di Paesi in cui viene rispettato lo stato di diritto. E questo non è ciò che accade in Italia. Attraverso il decreto Milleproroghe, il governo ha messo in atto cambiamenti unilaterali e retroattivi alla Concessione di Aspi, che comprometteranno gravemente e in modo permanente il capitale degli investitori stranieri in Atlantia e in Aspi stessa». Lei pensa che Allianz, Silk Road Fund o Tci stanzieranno ulteriori risorse per sostenere i progetti infrastrutturali italiani se i cambiamenti introdotti dal Milleproroghe verranno mantenuti così come sono? «Sicuramente no». Quindi la vostra opposizione all'azione del governo, dal punto di vista legale, potrebbe essere dirimente. «Ad oggi, nessuna responsabilità è stata ancora accertata legalmente, ma gli investitori istituzionali hanno già subito perdite significative. Tci investe in tutto il mondo e posso assicurarle che quanto abbiamo visto in Italia non accade altrove». Dalle sue parole sembra di capire che per lei l'Italia agisce al di sopra del diritto europeo. Se così fosse non potrebbe ottenere le risorse promesse dal Recovery Fund... «Per noi, la risposta a questa intuizione è chiaramente no. Ecco perché abbiamo presentato un reclamo formale all'Unione e riteniamo che altri investitori faranno lo stesso. Si tratta di un atto che era doveroso fare». |
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