ROMA Una carica di emendamenti in parte attesa che però a sorpresa viene, per una quota non piccola, dalla stessa maggioranza di governo. Le proposte di modifica al disegno di legge di Bilancio presentate ieri in Senato sono in tutto 4.550. Forza Italia ne ha presentate 1.105, il Partito democratico 921, la Lega 905, Fratelli d'Italia 523, il Movimento Cinque Stelle 235, Italia Viva 240, Leu (che fa parte del gruppo misto) 147. Quelle provenienti dalla maggioranza sono dunque oltre i due terzi del totale. Insomma le indicazioni del ministro dell'Economia Gualtieri e dello stesso premier Conte, che vogliono evitare uno stravolgimento della manovra, non sembrano aver avuto finora troppo successo. Naturalmente solo un parte dei correttivi messi nero su bianco è destinato ad essere messo in votazione ed eventualmente approvato: le stesse forze politiche dovranno indicare quali sono quelli prioritari, in un numero più ristretto (i cosiddetti segnalati). Ieri sera il titolare del Tesoro si è detto «non spaventato» per un qualcosa che a suo avviso «avviene tutti gli anni». E ha aggiunto di attendersi per il 2020 un andamento dell'economia migliore rispetto alle stime. Nella stessa giornata è arrivato un messaggio forte dal presidente della Repubblica: Mattarella, incontrando i magistrati di nuova nomina della Corte dei Conti, ha ricordato che «la stabilità finanziaria, il risanamento del debito, la certezza del diritto sono obiettivi cui tendere, con continuità e coerenza, per garantire adeguate prospettive e condizioni di crescita economica e sociale del Paese nonché l'equità intergenerazionale» Diversi emendamenti si concentrano sui temi fiscali. Così ad esempio a proposito di tassa sulla plastica Italia Viva vorrebbe la soppressione totale, mentre la proposta del Pd tende piuttosto ad alleggerire l'imposta, che passerebbe da 1 euro a 80 centesimi al chilo con esenzione graduale per i prodotti che contengono una componente compostabile. Lo schema - all'interno della maggioranza - è lo stesso per la tassa sulle bevande analcoliche: cancellazione da una parte, oppure revisione per ridurne l'incidenza. E pure in tema di auto aziendali il partito di Matteo Renzi vorrebbe ripristinare la situazione precedente, mentre la proposta del Pd formalizza l'idea, già avallata dallo stesso ministero dell'Economia, di applicare la quota di imposizione più alta solo ai nuovi contratti.
LE OPPOSIZIONIAnche gli emendamenti di Forza Italia, Lega e Fratelli d'Italia puntano a eliminare le varie forme di prelievo inserite nel testo originale del disegno di legge di Bilancio; in più i senatori del Carroccio vorrebbero (naturalmente senza alcuna possibilità concreta di successo) ripristinare la cosiddetta flat tax per le partite Iva a beneficio di quelle che hanno un fatturato compreso tra i 65 mila e i 100 euro l'anno Su alcuni temi s preannuncia poi uno scontro interno alla stessa maggioranza, in particolare tra Movimento Cinque Stelle e Italia Viva. I dossier più caldi sono quelli relativi a Quota 100 e all'inasprimento delle sanzioni penali per i cosiddetti grandi evasori. Proprio ieri Di Maio ha ribadito che il movimento non permetterà modifiche al meccanismo dei prepensionamenti (in vigore fino a a tutto il 2021) e non intende cedere nemmeno su soglie e pene inserite nel decreto fiscale (che in questo momento è all'esame della Camera). Tra i singoli emendamenti ce ne sono alcuni che si occupano dell'Iva sugli assorbenti femminili: nella proposta del Movimento Cinque Stelle scenderebbe dal 22 al 5 per cento, ma solo se i prodotti igienici sono biodegradabili. E i pentastellati vorrebbero ridurre anche il prelievo sui profilattici, che scenderebbe al 10 per cento.
Non mancano riferimenti ai temi di attualità, come l'emergenza atmosferica. Un emendamento del Pd propone ad esempio di destinare 200 milioni ra il 2020 e il 2021 per gli interventi destinati alla salvaguardia di Venezia.
Imu della Chiesa, nel mirino i cinque miliardi di arretrati. M5S torna in pressing per recuperare le imposte non versate tra il 2006 e il 2011
ROMA Il Movimento 5 Stelle riapre il fronte tasse con il Vaticano. La Chiesa cattolica, si legge in un emendamento depositato in Senato da Elio Lannutti, deve pagare l'Imu su tutti i suoi immobili adibiti a ristoranti, bar, alberghi, o anche all'erogazione di servizi ospedalieri o sanitari. E, secondo la proposta dell'esponente pentastellato, lo Stato dovrebbe trattenere almeno il 30% rispetto al fatturato complessivo dell'azienda.
LA GENESI Non solo: Lannutti reclama anche il versamento degli arretrati Ici (la vecchia formulazione dell'Imu) relativi al periodo 2006-2011. Con questa mossa, i 5 Stelle ripropongono una vicenda spinosa che si trascina da molti anni e che sembrava chiusa nel 2012 quando il governo Monti firmò un accordo con le autorità ecclesiastiche. In base a quell'intesa ogni singola parrocchia o realtà ecclesiastica, se titolare di una attività commerciale, da quel momento era tenuta a pagare l'imposta sugli immobili al Comune di riferimento. Il problema è che il Vaticano, che detiene il 20% del patrimonio immobiliare italiano, ha un parco immobiliare composto da 9 mila scuole, 26 mila tra chiese, oratori, conventi, campi sportivi e negozi e 5 mila tra cliniche, ospedali e strutture sanitarie e di vario genere. E riuscire a distinguere esattamente chi svolge attività commerciale da chi non le pratica, non è affatto semplice. Ieri l'Apsa, l'ente che gestisce gli immobili del Vaticano, ha reso noto quanto versato nell'ultimo anno. Nel 2018, secondo quanto riferito dallo stesso presidente, monsignor Nunzio Galantino, l'Apsa ha pagato di Imu 9 milioni 228 mila euro e 30 centesimi. E a questa cifra occorre aggiungere quanto versato per gli immobili di Propaganda Fide, della Cei, del Vicariato. Nel primo semestre del 2019 l'Apsa a versato Imu, a titolo di acconto per 4 milioni e 434 mila euro. Un incasso evidentemente giudicato insufficiente dai 5 Stelle, che puntano a un giro di vite. Rimettendo nel mirino soprattutto gli arretrati. E qui la vicenda si fa ancora più complicata. Con l'accordo del 2012, lo Stato italiano aveva di fatto rinunciato a reclamare l'Ici non versata in passato ma un anno fa una sentenza della Corte di Giustizia europea ha rimesso tutto in discussione annullando la decisione della Commissione del 2012 e la sentenza del Tribunale Ue del 2016 che avevano stabilito, per l'Italia, «l'impossibilità di recupero dell'imposta a causa di difficoltà organizzative». I problemi connessi all'attività di contrasto all'evasione fiscale, aveva spiegato la Corte, «costituiscono mere difficoltà interne». Un modo neppure tanto garbato per dire: se non siete stati capaci di farvi pagare è un problema che non ci riguarda ma che non vi esenta dai vostri doveri.
LE STIME Secondo le stime emerse alcuni mesi fa dal ministero dell'Economia, la Chiesa, solo per il periodo 2006-2011, sarebbe debitrice di imposte sugli immobili nei confronti dello Stato italiano di 4,8 miliardi di euro. Per risolvere il problema, nel novembre del 2018, il governo Conte I aveva accarezzato l'idea di proporre al Vaticano una pax fiscale. Vale a dire il versamento di una aliquota forfettaria (fissata intorno al 20-25% sull'ammontare del debito) depurata di interessi e sanzioni di mora e legali. In breve, la Chiesa avrebbe potuto cavarsela con il versamento di un miliardo di euro, magari con comode rate. «Il problema si trascina da anni e la sentenza della Corte di Giustizia ci impone di trovare un accordo con il Vaticano» aveva spiegato il sottosegretario leghista dell'Economia, Massimo Garavaglia. Un proposito poi caduto nel vuoto.