Data: 31/03/2023
Testata Giornalistica: IL MESSAGGERO |
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Lavori in ritardo, a rischio la ferrovia Roma-Pescara. Tra le opere impossibili da realizzare entro il 2026 anche la Orte-Falconara. Il sottosegretario Rixi: «Progetti complessi sui quali siamo indietro già in questa fase»
Quelle due infrastrutture strategiche per il futuro del Centro (e dell'Europa) ROMA Tra i tecnici che nei vari ministeri sono da cinque mesi alla ricerca di una quadra sui progetti del Pnrr, le chiamano «opere chimera». Sono quei progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza che rischiano di non arrivare al collaudo entro il 2026. Progetti ereditati su carta dall'attuale esecutivo che, alla prova dei fatti, potrebbero restare cantieri ben oltre la scadenza, perdendo cioè il finanziamento di Bruxelles. In particolare - allo stato attuale delle interlocuzioni con la Commissione europea - si tratta delle cosiddette «diagonali ferroviarie dell'Appennino». Cioè del raddoppio della tratta Orte-Falconara (è il 90% della Roma-Ancona, e interessa anche a Perugia) e del raddoppio della Roma-Pescara. «Progettazioni complesse», ammette il sottosegretario alle Infrastrutture Edoardo Rixi, «su cui siamo molto indietro ed è difficile pensare che si possano realizzare in tempi così brevi».
Si tratta, né più né meno, dei «progetti impossibili» di cui ha parlato il ministro Raffaele Fitto nei giorni scorsi dopo l'allarmante relazione della Corte dei Conti. Opere che pagano «vizi originari» nella visione di chi le ha immaginate. Per la Orte-Falconara ad esempio, «è difficile capire come sia stato possibile immaginare che, pur completando l'iter burocratico in tempo, si possano riuscire a realizzare sei gallerie entro il 2026» ragiona una fonte tecnica vicinissima al dossier. Per la Roma-Pescara invece, a preoccupare, «sono i dodici viadotti» previsti. Al netto del costo dei materiali decisamente più alto rispetto alla fase di progettazione, il problema è anche che «per opere così complesse non ci sono tantissime aziende in grado di farle», per di più «in contemporanea lungo tutta la Penisola». Opposizioni ragionevoli che però, è inevitabile notare, arrivano da un ministero gestito quasi per intero dalla Lega e nei confronti di Regioni - Abruzzo e Marche - presiedute dagli "alleati rivali" di Fratelli d'Italia.
In ogni caso il ministro Fitto sta trattando con la Commissione europea per provare a spostare su queste infrastrutture a rischio i finanziamenti per la coesione (con scadenza 2029), puntando le fiches del Pnrr su obiettivi più alla portata di mano. In linea con quanto dichiarato da Matteo Salvini durante il suo colloquio con il Messaggero di ieri («Spenderemo fino all'ultimo euro del Pnrr»), al ministero delle Infrastrutture ad esempio, ritengono che alcune di queste linee di credito potrebbero agevolmente essere dirottate sulle Ferrovie.
«Stiamo pensando di rinnovare la flotta intercity, una delle più vecchie d'Europa - spiega Rixi -. Nel 2026 potremmo avere treni nuovi, più performanti e in linea con il Pnrr, senza sforare i tempi». Anche perché, ragiona il sottosegretario, «o troviamo soluzioni semplici a problemi complessi o si rischiano delle incompiute».Restando alle Infrastrutture, tra gli obiettivi difficili da centrare c'è anche chi iscrive la progettazione e la realizzazione su tutto il territorio italiano dell'Ertms (European rail transport management system), il più evoluto sistema per la supervisione e il controllo del distanziamento dei treni e dei sistemi ad esso correlati. Un appalto che interessa 4.220 chilometri di binari, aggiudicato a Rete ferroviaria Italiana (Rfi, gruppo Fs Italiane), che però oggi potrebbe trasformarsi in un traguardo non raggiunto. Il motivo? Oltre ai prezzi schizzati alle stelle, ci sono grossi problemi nell'approvvigionamento dei materiali necessari, in particolare dalla Cina. Si tratta di circa 2,7 miliardi di euro, più o meno la stessa cifra che Salvini giura sarebbe sufficiente a finanziare una serie di progetti - già validati ma per ora senza fondi - relativi al rinnovamento della rete idrica italiana.
I PROGETTI - A trovarsi in situazione di questo tipo, ovvero in attesa di una necessaria flessibilità da parte di Bruxelles, è però anche il ministero dell'Agricoltura. I tecnici del ministro Francesco Lollobrigida infatti, lamentano di aver ereditato «l'obbligo di incentivare l'acquisto di trattori a zero emissioni». Peccato che, ad oggi, questi siano «sperimentali» e «praticamente inesistenti sul mercato». Un'altra missione impossibile per cui ci si ingegna come si può. Ovvero, spiegano, l'idea è provare a utilizzare questi fondi per altri macchinari di precisione innovativi (ad esempio per una più oculata gestione dell'irrigazione), finanziando poi con risorse "autonome" l'acquisto di trattori Stage V, che seppure non hanno emissioni nulle ma "solo" ridotte, sono quantomeno disponibili sul mercato. Non solo. Il lavorìo di miglioramento dei progetti in corso, spiega Rixi, comprende anche «la ripulitura delle coperture finanziarie», cioè una riorganizzazione delle linee di finanziamento delle opere. Molte sono state finanziate con fondi diversi, infatti, e qualora si inceppasse l'iter di una di queste, l'obiettivo rimarrebbe fermo al palo. Un esempio è proprio la Roma-Pescara. Le due subtratte prioritarie che vanno realizzate entro il 2026, Roma-Avezzano e Sulmona-Chieti, hanno un costo complessivo di 720 milioni di euro, di cui 620,17 milioni finanziati dal Pnrr e 99,83 milioni dal Fondo per lo Sviluppo e la Coesione.
Quelle due infrastrutture strategiche per il futuro del Centro (e dell'Europa) ROMA Pnrr, nuovo decreto. E si tratta con l'Ue. Intanto, rischiano di perdere i finanziamenti le «diagonali ferroviarie dell'Appennino». Cioè del raddoppio della tratta Orte-Falconara e della Roma-Pescara.
Da queste colonne, da più di un anno e per mesi, si è lavorato per aiutare la opinione pubblica nazionale ed il governo a riconoscere l'esistenza di una Questione Italia Centrale (QIC). I riscontri sociali, economici, culturali, scientifici e persino politici non erano mancati. Le vicende geopolitiche di questi ultimi due anni, con i loro enormi ed immediati risvolti economici, si erano incaricate di dare un sovrappiù di evidenza alla QIC. I dati (demografici, sociali, economici) provenienti dal quadrilatero Lucca-Pesaro-Pescara-Roma avevano conferito ulteriore urgenza alla decisione di spostare la questione Italia centrale verso l'alto della agenda politica nazionale e di quella della Ue, verso la zona delle assolute priorità.
Il punto è semplice, brutale. Tra l'Europa latina e quella balcanica vogliamo un muro invalicabile o un ponte? Tra il Nord ed il Sud Italia vogliamo un deserto o un canale navigabile e navigato? Tra l'Europa centro-occidentale ed il Mediterraneo vogliamo un fossato o una strada maestra? Detto altrimenti: fino a dove vogliamo far arretrare il confine reale del lato sud della Unione Europea: accettiamo che la Ue si arrocchi sulla linea del Po?
I muri, i deserti, gli abissi, i confini sociali cioè le barriere alla crescita, non si cancellano se non innanzitutto a colpi di infrastrutture. Le notizie di queste ore sono pessime perché parlano di una o forse due infrastrutture che rischiano di saltare e saltando costituirebbero l'equivalente di una sentenza durissima ed ingiustificabile a carico dell'Italia Centrale, delle sue città e delle persone che vi vivono. E di una sentenza non meno dura sulle possibilità di ripresa del Mezzogiorno e di virtuosa espansione del Nord del nostro Paese.
In questo caso i numeri davvero quasi parlano da soli. Le due direttrici a rischio (Roma-Pescara e Orte-Falconara) attraversano direttamente almeno 17 Sistemi Locali del Lavoro ricostruiti dall'Istat (senza contare quelli limitrofi), per un totale un milione ed ottocentomila residenti cui vanno aggiunti ovviamente i quasi tre milioni e ottocentomila di coloro che risiedono nel Sistema Locale del Lavoro di Roma. In totale quasi un italiano su dieci. Forse il problema è cominciato quando non si è capito che questa volta dall'Italia Centrale non veniva una richiesta campanilistica o "di bandiera", né un grido prodotto da una calamità naturale. Questa volta si trattava si una proposta di valore strategica per il Paese e per la Ue.
Ci fosse ancora una possibilità, converrebbe fare l'impossibile per coglierla. Come si scrisse sin dall'inizio su queste colonne, serve urgentissimamente un punto nel quale le città dell'Italia Centrale e il governo nazionale, con l'assistenza funzionale delle amministrazione regionali, affrontino la Questione Italia Centrale, questione che sta pericolosamente aggravandosi.
O forse è stato deciso che questa parte d'Italia deve rassegnarsi ad un futuro di area interna dismessa ed abbandonata? Deve acconciarsi ad un futuro da muro (da evitare), deserto (da cui tenersi alla larga), abisso (da evitare) invece che di un futuro da ponte, canale e strada maestra.
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