Data: 07/03/2021
Testata Giornalistica: IL CENTRO |
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La Tua fa causa a 17 dipendenti, ma ora deve pagare 40mila euro. La società di trasporto denuncia: «Irregolare l'acquisto dei ricambi per i bus, danni per 1,3 milioni»
Bocciato il ricorso: «Non ci sono prove, atti decisivi mai depositati». E scatta la condanna alle spese legali CHIETI Erano stati accusati di aver fatto spendere all'Arpa quasi 1,3 milioni di euro in più, comprando pezzi di ricambio per gli autobus al di fuori dei circuiti delle gare d'appalto aziendali. Undici anni dopo le prime contestazioni, con il caso finito davanti alla procura regionale della Corte dei conti e rimbalzato anche in Corte di Cassazione, arriva da Chieti la sentenza che scagiona 17 dipendenti, nel frattempo passati alla Tua, ed ex: «Non vi è alcuna prova delle irregolarità», così dice il giudice del lavoro Ilaria Prozzo. Cinque anni fa, nelle case dei responsabili delle sedi Arpa di Chieti, Pescara, Teramo, Giulianova, L'Aquila, Avezzano e Sulmona, dei capi tecnici e degli addetti al magazzino erano arrivate richieste di risarcimento danni da 26.564,16 euro fino a 96.242,57. Ora, la sentenza teatina rigetta il ricorso della Tua: a pagare deve essere proprio l'azienda di trasporto che è stata condannata al saldo delle spese legali per oltre 40mila euro. Secondo il giudice, è infondato il ricorso della Tua ed è stato presentato senza «indispensabili» documenti di appoggio, neanche i listini prezzi. Il caso incrocia il tribunale del lavoro di Chieti il 3 gennaio del 2020, quando la Tua denuncia che gli allora dipendenti Arpa avrebbero acquistato pezzi di ricambio «da fornitori diversi da quelli individuati come aggiudicatari delle gare d'appalto, con applicazione di uno sconto minore rispetto a quello stabilito nel capitolato d'appalto e con conseguente maggiore spesa per l'Arpa». Gli acquisti "sballati" sarebbero stati fatti tra il 2009 e il 2013. Il ricorso si basa su un'indagine della guardia di finanza risalente al 2016 e sulla tesi della procura contabile che parla di «conclamata negligenza e trascuratezza nell'agire, inaccettabilmente protratte per un consistente lasso temporale, che mostrano tutti gli elementi sintomatici per definire le condotte considerate come affette da colpa grave». Ma il fascicolo della finanza e l'inchiesta della procura della Corte dei Conti vanno a monte: è la Cassazione, nel 2018, a decidere che la magistratura contabile non è competente perché la Tua è una società per azioni privata, ancorché a capitale pubblico con il 100% delle quote in mano alla Regione. La Tua riassume il giudizio dopo oltre un anno con il ricorso al giudice del lavoro: è troppo tardi, dice la sentenza che però entra nel merito e spiega che quel ricorso non ha le gambe per camminare, come sostengono gli avvocati difensori dei 17, a partire da Barbara Santoleri. «Secondo la società ricorrente, i resistenti, nonostante la validità ed efficacia dei contratti di appalto e dei relativi capitolati, avrebbero acquistato beni e materiali di ricambio da fornitori diversi dagli aggiudicatari della gara con uno sconto minore. Ebbene», stabilisce la sentenza, «dei fatti così allegati non vi è alcuna prova nel presente giudizio, in cui la ricorrente si è limitata a fare riferimento alle risultanze delle indagini della finanza e alle conclusioni che ne ha tratto la procura della Corte dei conti, atti che non hanno alcuna valenza probatoria nel presente giudizio, tanto più che la relazione della finanza non è stata neppure prodotta in giudizio». Secondo la Tua, gli sconti mancati ammonterebbero a 1.273.777,98 euro: ma, dice la sentenza, «la società ricorrente non ha dato alcuna prova neppure dei danni asseritamente cagionati dalla condotta illecita dei resistenti. Al fine di fornire tale prova, la società ricorrente avrebbe quantomeno dovuto produrre i listini dei prezzi convenuti nei contratti di appalto, gli ordini di acquisto sottoscritti dai resistenti e le fatture emesse dai fornitori». E il giudice sottolinea un altro passaggio: «Nel ricorso si fa riferimento a una procedura secondo la quale gli ordini di acquisto venivano effettuati dal magazziniere e autorizzati dal capo unità tecnica e dal responsabile di sede, ma non vi è alcuna prova di tale procedura, in quanto non risulta prodotto alcun documento che preveda tale modalità».
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