Pino Musolino è da qualche mese presidente dell'Autorità di sistema portuale del Mar Tirreno Centro Settentrionale. Quella, per meglio capire, che sovrintende i porti di Civitavecchia, Gaeta e Fiumicino. Appena arrivato ha dovuto prendere in mano una situazione difficilissima, dovuta soprattutto al crollo delle crociere, principale impegno di Civitavecchia totalmente bloccato dalla pandemia. Ma non appena arrivato alla guida del sistema portuale, Musolino si è reso subito conto anche di altro. «Siamo l'unica Autorità in Italia che non ha un porto considerato core».
Musolino, che cosa significa?
«Nella rete europea dei porti, che viene revisionata ogni dieci anni, esistono due categorie: la rete core, quella fondamentale, e la rete comprehensive, che potremmo definire, usando un termine medico, il sistema nervoso periferico».
In Italia quali porti sono considerati core?
«Tutti, tranne noi».
Tutti?
«Sì, ogni Autorità di sistema ha almeno un porto tra quelli core. Solo i porti della Capitale sono esclusi».
Come è possibile?
«Una distrazione».
Una distrazione?
«Vede, i porti per essere considerati core devono avere determinati volumi di traffico. A meno che non siano i porti della Capitale del Paese di riferimento. In questo caso il porto può diventare porto core in virtù del solo fatto che è il porto della Capitale di un Paese».
E Civitavecchia è il porto di Roma, quindi della Capitale. Nessuno lo ha fatto notare?
«Nel 2013, data dell'ultima verifica, nessuno lo ha detto o scritto. Se ne sono dimenticati».
È solo un problema di orgoglio, di status?
«No, chi è nella rete core ha accesso ai finanziamenti della cosiddetta connecting Europe facility, ossia la possibilità di concorrere a un fondo di 36,2 miliardi nei prossimi sette anni».
E Roma è fuori.
«Se non sei porto core non accedi a questi soldi. L'unico modo per noi è agganciarci a un altro porto che sia tra quelli considerati fondamentali. Capisce bene che è uno status di seconda scelta. Tenendo conto che sulla dorsale tirrenica i porti core sono considerati Livorno e Napoli, noi al Centro siamo un buco. Un problema anche per la connettività tra i due mari».
Si spieghi meglio.
«Ancona è un porto core. Noi non lo siamo. Ma stiamo lavorando per realizzare una connettività orizzontale che parta dalla Croazia e arrivi fino al Portogallo. Tutti questi elementi di grande potenzialità di crescita sono compromessi dal fatto che noi non abbiamo ottenuto ancora lo status di porto fondamentale».
Ma ora lo avete chiesto ufficialmente?
«Certo. Da qui al 31 dicembre del 2022, data entro la quale si chiuderà la nuova revisione, sono previsti tre vertici bilaterali Italia-Europa. La prima bilaterale si è tenuta il 10 marzo scorso e l'indicazione di Civitavecchia come porto core è stata messa sul tavolo».
Problema risolto?
«Non proprio. L'Italia ha avanzato ben 89 proposte di modifica. Un'esagerazione, tutto è più difficile. E non c'è solo questo».
Cos'altro?
«In Europa continuiamo a presentarci con funzionari. Bravissimi e preparatissimi, ma se non si muovono i ministri o almeno i vice, le nostre richieste non riescono ad avere il giusto peso».
Diventare un porto core risolverebbe tutti i problemi?
«No di certo. Vanno risolti i nodi infrastrutturali. La connettività orizzontale, come la Orte-Civitavecchia della quale si parla da anni, l'ultimo miglio stradale e ferroviario, la connessione Nord-Sud verso i porti di Fiumicino e Gaeta, per i quali non abbiamo ancora oggi una ferrovia degna di questo nome».
Una parte dei soldi per risolvere questi nodi sono passati dal Recovery al fondo nazionale da 30 miliardi. Preoccupato da questa scelta?
«Diciamo che temo la aleatorietà delle decisioni anno per anno. Il Recovery avrebbe dato certezze maggiori».
A Civitavecchia avere puntato molto sulle crociere è stata una scelta penalizzante alla luce di quanto accaduto con il Covid?
«Purtroppo sì. Non solo per il porto, anche per l'economia della Regione. Non avendo un porto a servizio della logistica, si è più deboli rispetto ad altre parti d'Italia dove è stato più facile tenere vitali le filiere».
Come farete ad attrarre più merci?
«Completando, come ho detto, le infrastrutture. Ma soprattutto allargando la nostra offerta. Noi abbiamo un fondale naturale sassoso profondo 16 metri. Possiamo ormeggiare le grandi navi portacontainer. Un vantaggio competitivo non da poco».
Oltre a Civitavecchia, a lei fanno capo i porti di Gaeta e Fiumicino. Qual è la situazione in questi porti?
«Il porto di Gaeta ha un grande potenziale e può rappresentare un'ottima leva di sviluppo per il sud della regione. Al tempo stesso può caratterizzarsi per una vocazione cantieristica legata al diportismo e agli yacht, valorizzando competenze già presenti nel territorio. I più grandi limiti allo sviluppo del porto di Gaeta sono i collegamenti ferroviari e viari, assolutamente insoddisfacenti e non all'altezza delle sfide richieste. È necessario lavorare con Anas, Rfi, le amministrazioni locali e regionale, per colmare questo gap».
E Fiumicino?
«Su Fiumicino stiamo per iniziare i lavori del primo lotto funzionale del porto commerciale, che metteranno a terra oltre 30 milioni di euro di opere. Un grande investimento che consentirà di migliorare il rapporto con la città, e servire in prima battuta l'industria ittica laziale, che a Fiumicino schiera la più ampia flotta peschereccia della regione».