«Pacifico e conclamato». Il presidente emerito della Corte costituzionale, Giovanni Maria Flick, sceglie questi due aggettivi per spiegare perché, a suo giudizio, non ci sia alcun dubbio sul fatto che l'obbligo vaccinale sia costituzionale: «Se così non fosse vivremmo in perenne incostituzionalità da quando i vaccini sono stati introdotti per legge e definiti vincolanti salvo l'ipotesi in cui non possa essere somministrato per ragioni specifiche». Ora però la scelta dell'Austria, che lo imporrà da febbraio insieme alla posizione (favorevole) del presidente di Confindustria, riaprono il dibattito anche in Italia.
Quali sono gli articoli della Costituzione a cui bisogna fare riferimento?
«L'articolo 16 è quello in cui si parla delle possibili limitazioni alla libertà di circolazione e soggiorno mentre l'articolo 32 è quello in cui si dice che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. Entrambi esprimono un concetto che è già presente nell'articolo 2 della Costituzione: ci sono diritti fondamentali inviolabili della persona e ci sono i doveri inderogabili, tra cui quelli di solidarietà sociale. La mediazione tra i due punti va effettuata alla luce delle indicazioni costituzionali. E le indicazioni costituzionali sulla possibilità di introdurre l'obbligo vaccinale sono conclamate e pacifiche. A mio giudizio non c'è da discutere, come dimostrano i vaccini previsti per l'ammissione scolastica dei bambini
».Se è così palese allo
ra perché ci si ritrova a discuterne nuovamente nel pieno di una pandemia?
«Perché noi siamo capaci di discutere di tutto. Mi pare che il gusto di contraddire le decisioni dell'autorità sia troppo connaturato nella mentalità italiana. E invece è la scienza che deve formulare delle ipotesi, sperimentarle secondo la prassi e le regole, e quando ha i risultati li deve comunicare alla politica. Ed è quest'ultima che deve prendersi la responsabilità di attuare quello che la scienza suggerisce».
Perché secondo lei non si è deciso di prevedere l'obbligo di vaccino sin dall'inizio?
«Noi purtroppo siamo un Paese con una situazione politica un po' instabile, con una maggioranza - e lo stiamo vedendo in questi giorni - non dico di emergenza, ma quasi. Io credo che abbiano pesato in primo luogo le difficoltà di introdurre una legge: quali sanzioni, quali metodi di accertamento? Un secondo motivo potrebbe essere il timore di una protesta ancora più violenta. La terza ragione, l'unica che mi sembra fondata purché sia previsto un limite e sia impedita la violenza, è stata la ricerca di persuasione. Una buona legge è quella che viene accolta dai destinatari, che viene capita o comunque accettata in nome della convivenza. Tutto questo un po' è mancato».
Cosa ne pensa del caso Cunial, la deputata a cui è stato consentito, seppur con molti paletti, di accedere in Parlamento senza Green pass?
«Con tutto il rispetto per la Camera e per la sua sovranità, il fatto che una parlamentare che deliberatamente dica non faccio il vaccino e non ho Green pass venga ammessa tranquillante, mi dà da pensare. Tutto questo accade perché in fondo c'è un discorso di negoziazione nel Green pass. Non nasce come un obbligo, ma come un modo per dimostrare che non si è contagiosi. Io credo che la tendenza italica sia un po' quella di considerare la linea più breve per arrivare a congiungere due punti non la linea retta, come ci insegnavano nella geometria euclidea, ma la spirale».
L'obbligo vaccinale può essere introdotto per decreto?
«Si può anche fare con decreto legge il quale però non è il toccasana, e ancor meno lo è il Dpcm di buona memoria. Esso è un'anticipazione urgente dell'assoluta necessità della legge e va convalidato entro 60 giorni dalle Camere. Quindi il timore è che poi venga bocciato per ragioni politiche alimentando ulteriori situazioni di confusione».