Data: 27/05/2020
Testata Giornalistica: IL CENTRO |
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L'esperto: con la app Immuni sono a rischio i nostri dati Il professor Teti (Università di Chieti-Pescara): sarebbe stato preferibile un braccialetto Gestito da una struttura pubblica avrebbe consentito controlli senza invasioni della privacy
PESCARA Adesso c'è anche la data. Precisamente il 5 giugno, quando la discussa app Immuni per il tracciamento dei contatti "Covid" dovrebbe essere scaricabile, volontariamente, sui telefonini delle tre regioni pilota. Per il Centro Italia, proprio l'Abruzzo (la Liguria per il Nord e la Puglia per il Sud). La sperimentazione durerà una settimana, per essere estesa subito dopo al resto d'Italia. Una sperimentazione funestata da un mare di polemiche, che non accennano a placarsi neppure dopo la pubblicazione, lunedì, del codice sorgente dell'app. Anzi.Sembra tutt'altro che rassicurato dall'analisi dei dati anche il professor Antonio Teti, responsabile del settore sistemi informativi e innovazione tecnologica dell'università d'Annunzio Chieti-Pescara.Professor Teti, dopo la pubblicazione del codice sorgente si è fatto un'idea più precisa sull'app Immuni? «Qualcosa è cambiato rispetto alla mia analisi iniziale: intanto la sorgente è pubblica ed è stato possibile analizzarla. Poi, sembra che i dati raccolti saranno scaricati su un server italiano gestito da Sogei, con una piattaforma software controllata dal ministero della Salute. Ma qualche perplessità resta, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza delle informazioni».Il garante della privacy, Antonello Soro, ha dato l'ok, sostenendo l'assenza della funzione di geolocalizzazione e quindi di rischi per gli utenti. Non è d'accordo?«La questione non è così semplice: i rischi potenzialmente ci sarebbero, perché il governo ha scelto la soluzione che si basa sui sistemi di tracciamento creati dai due colossi tecnologici Apple e Google. Il problema riguarda soprattutto quest'ultima, perché il sistema Android richiede l'attivazione della geolocalizzazione del dispositivo per poter rilevare i segnali bluetooth nelle vicinanze. Google dichiara di non registrare la posizione utente, ma c'è un documento ufficiale che certifica che l'azienda non utilizzerà questi dati? Io non credo».Cioè, mentre l'app Immuni non richiede l'attivazione del Gps, ma solo del bluetooth, sarebbe l'Api di Google a costituire il punto debole sul piano della privacy?«Il funzionamento di Immuni si basa sulle Android exposure notification Api, che fanno parte dei Google Play Services, responsabili tra l'altro di fornire l'accesso alla posizione dell'utente. Tecnicamente, Google non necessita neppure dell'attivazione del Gps per localizzare lo smartphone, perché può utilizzare i cosiddetti Beacon bluetooth, sensori normalmente posizionati nelle città e nei negozi. Il problema è se vogliamo fidarci di una tecnologia tanto potente, tra l'altro in mano a una società straniera».Anche il Copasir (il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica), in un rapporto del 13 maggio, ha espresso più di un dubbio.«Proprio così: dubbi innanzitutto di carattere geopolitico. La stessa Copasir ha ricostruito l'assetto societario di Bending Spoons, l'azienda che ha sviluppato l'app Immuni: tra i soci troviamo anche la Nuo Capital di Steven Cheng, potente uomo d'affari cinese. Potremmo ritrovarci con i nostri dati sensibili in mano a un governo straniero? Poi, preoccupa la mancanza di infrastrutture nazionali per questo progetto. Il Copasir ha espresso tutta una serie di perplessità di natura tecnica e giuridica che ancora oggi non sono state fugate, non ultima la necessità che la piattaforma sia gestita con criteri univoci in tutte le regioni. Per esempio, in Lombardia è già stata distribuita un'app diversa e immagino che i cittadini non ne scaricheranno un'altra. Manca una progettualità comune».Una progettualità comune che manca anche con gli altri Paesi dell'Unione Europea.«La Ue non ha messo in atto neanche un piano sanitario comune per affrontare l'emergenza Covid, figuriamoci se arriverà a breve a condividere le app per il tracciamento dei contatti. C'era una serie di parametri comuni, definiti dal Pepp-Pt (un'organizzazione no-profit costituita da otto Paesi europei per seguire le problematiche del tracciamento dei contatti ndr), ma l'Italia ha optato per una soluzione diversa, la piattaforma decentralizzata». Ma se facciamo un bilancio tra benefìci e rischi, secondo lei Immuni è un progetto valido?«Per funzionare, bisogna che l'app sia scaricata dal 60, 70% della popolazione. Dubito che questo risultato possa essere raggiunto: una larga fetta della popolazione non possiede i dispositivi adatti, cioè smartphone di ultima generazione. Molti non hanno la dimestichezza necessaria per utilizzarla. Forse era più funzionale un sistema, magari un braccialetto, gestito da una struttura pubblica, dal servizio sanitario nazionale, con dati conservati su infrastrutture nazionali, controllate dallo Stato. Allora la sicurezza sarebbe stata più garantita».Insomma, una bocciatura?«Secondo me, l'app andava progettata in maniera diversa dal punto di vista tecnico. L'idea di usare il tracciamento come strumento di prevenzione è valida, ma perché non affidare il progetto alle università italiane? O perché non alle società a partecipazione statale come Leonardo, specializzata proprio nella sicurezza delle informazioni? Come sempre il problema non è la tecnologia, ma l'uso che si fa della tecnologia. Se si crea un prodotto che già non risulta chiaro a chi l'ha commissionato e poi non lo sa neanche spiegare chiaramente, è difficile che il cittadino si possa fidare. Quando è lo stesso Copasir a contestare l'operato del Governo, il problema è serio».
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