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Data: 15/04/2023
Testata Giornalistica: CORRIERE DELLA SERA
    CORRIERE DELLA SERA

Il sondaggio sul Pnrr: per il 49% non rilancerà il Paese. Italiani scettici. Solo il 3% ritiene che sarà realizzato almeno il 90% dei progetti. Prioritaria la sanità.

Il 44% conosce il piano solo in parte, mentre il 28% ne ha solo sentito parlare e il 16% lo ignora del tutto


Il Pnrr rappresenta una straordinaria opportunità per l’Italia di affrontare i problemi strutturali del Paese, avviare profonde riforme e favorire un processo di crescita. Si tratta di un piano che guarda al futuro, alla costruzione dell’Italia dei prossimi 10-15 anni, facendola uscire da quella sorta di «presentismo permanente» che ha caratterizzato gli ultimi due decenni, nei quali le principali scelte politiche sono state improntate al «qui e ora», spesso alla ricerca del consenso immediato, confermando il famoso aforisma secondo cui «un politico guarda alle prossime elezioni; uno statista alla prossima generazione». Nonostante la grande importanza che riveste, ad oggi il Pnrr è assai poco conosciuto, basti pensare che solamente il 12% dichiara di conoscerlo in modo approfondito e il 44% lo conosce solo in parte, mentre il 28% ne ha solo sentito parlare e il 16% ignora del tutto di cosa di tratti.

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Dopo aver descritto dettagliatamente le sei «missioni» in cui si articola il piano, nel sondaggio odierno è stato chiesto alle persone intervistate di indicare le due missioni giudicate più importanti: prevale nettamente il tema della salute (citato dal 50%) sostenuto dall’aspettativa di un rafforzamento della rete territoriale di medicina e dell’ammodernamento delle dotazioni tecnologiche del Servizio sanitario nazionale; si tratta di un risultato prevedibile, dopo il trauma collettivo della pandemia che ha messo a dura prova il nostro sistema sanitario. Non a caso, sia pure con accentuazioni diverse, questa missione rappresenta la priorità per tutti, indipendentemente dalle caratteristiche socio-demografiche, dall’orientamento di voto e dal livello di conoscenza del Pnrr. A seguire troviamo la rivoluzione verde e la transizione ecologica (27%) e, a poca distanza, l’istruzione e la ricerca scientifica (24%), quindi l’inclusione e la coesione sociale e territoriale (20%), le infrastrutture per una mobilità sostenibile (19%) e, da ultimo, il capitolo, assai composito, riguardante la digitalizzazione, l’innovazione, la competitività e la cultura (14%).

Nel complesso, tuttavia, emerge un discreto scetticismo sulla possibilità che il Pnrr possa risolvere i problemi strutturali e favorire il rilancio economico del Paese: un italiano su due esprime poca (36%) o nessuna (13%) fiducia in proposito, contro solamente uno su tre che ne ha molta (4%) o abbastanza (31%). E una quota esigua (3%) prevede che verrà realizzato oltre il 90% dei progetti contenuti nel piano, mentre la maggioranza relativa (36%) è convinta che non arriveremo al 60%. I motivi dello scetticismo sono piuttosto articolati: uno su quattro (27%) ritiene che in Italia non siamo capaci di fare progetti che siano effettivamente realizzabili, uno su cinque (21%) mette in discussione le capacità del governo (la percentuale sale al 43% tra gli elettori del Pd e del M5s), mentre il 13% dubita delle capacità dei comuni e dei sindaci di «mettere a terra» i progetti e il 12% imputa il possibile flop alla mancanza di coraggio della politica preoccupata di perdere consenso per l’impopolarità di alcune riforme. Non sorprende, quindi, che la maggioranza preveda che verranno effettuati cambiamenti rispetto al piano originario presentato dal governo Draghi e approvato dell’Ue. Di questo parere sono soprattutto gli elettori del centrodestra.

L’Unione europea con una felice intuizione ha denominato il Recovery plan post pandemico «Next generation Eu», per sottolineare la sua finalità precipua, ossia la costruzione del futuro dei paesi beneficiari. Qualcuno ha paragonato il Pnrr al piano Marshall che consentì la ricostruzione dell’Europa dopo la Seconda guerra mondiale. Tuttavia, ad oggi il Pnrr risulta poco conosciuto, non affascina e suscita dubbi sulle possibilità di realizzazione. Ma senza il consenso popolare appare assai difficile che il piano possa avanzare: non va dimenticato infatti che l’attuazione delle riforme, a cui siamo tenuti per ottenere i finanziamenti europei, potrebbe essere complicata dall’indisponibilità al cambiamento di molti cittadini che non intendono rinunciare alle proprie abitudini o a diritti acquisiti. E sullo sfondo appare il rischio che qualche politico, alla permanente ricerca di consenso, possa vellicare le perplessità e i dubbi dell’opinione pubblica, opponendosi o frenando il programma di riforme.

Come se ne esce? Come si potrebbe favorire la mobilitazione dei cittadini? Forse provando a «raccontare» il piano, non tanto negli aspetti tecnici e normativi, quanto piuttosto evocando quale Paese avremo se saremo in grado di realizzarlo compiutamente: un’Italia con una ripresa demografica, con una crescita economica costante, con meno disuguaglianze, più sostenibile in termini ambientali e sociali, con più infrastrutture, con un maggior benessere individuale e collettivo. Insomma, un Paese migliore per le generazioni future. La storia ci insegna che solo delineando la meta, l’approdo finale, i cittadini si mostrano disponibili ad accettare i cambiamenti e le rinunce. Ma chi è chiamato a «narrare» deve essere credibile ed avere più il profilo da statista che quello del politico.


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