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Data: 26/08/2019
Testata Giornalistica: IL CENTRO
    IL CENTRO

Il M5S blinda Conte È muro contro muro. Il Movimento contro qualsiasi veto: «L’Italia non può aspettare il Pd». Il Nazareno insiste sulla discontinuità e non vuole un rimpastone. Di Maio in difficoltà, tiene duro sul prof

Luigi Di Maio invoca Giuseppe Conte premier: «È l'unico nome in campo». Nicola Zingaretti ribadisce il no e risponde che il Pd non è disposto ad andare al governo con il M5s per tappare i posti lasciati vuoti dalla Lega: «L'Italia non capirebbe un rimpastone del governo caduto». I partiti hanno ancora un giorno per dare un'indicazione al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Ma, come ammette il segretario Pd dopo aver sentito al telefono il capo M5s, «una soluzione ancora non c'è». Non è ancora ufficialmente spento neanche il «forno» M5s con la Lega. Tanto che circolano rumors su un possibile incontro tra i vertici dei due partiti. L'ipotesi di ritorno al voto esiste. Ma è forte il pressing di Dem e pentastellati sui loro leader per l'intesa: se i M5s non cederanno a un nome terzo, l'idea di un «Conte 2» (magari senza Di Maio) ha molti sponsor tra i Dem. Dal Quirinale non trapela nulla di più di quanto detto dal capo dello Stato al termine delle consultazioni. Nulla è cambiato: non si fanno sconti né dilazioni. Lunedì sera si attende di sapere dalle forze politiche qual è il risultato del loro confronto: su queste indicazioni verrà disegnato il calendario delle consultazioni. Che potrà quindi essere più o meno rapido. Mattarella attende ancora di sapere se c'è una maggioranza in Parlamento in grado di formare un nuovo governo. Il M5s stringerà un nuovo patto con il Pd o farà un - ad ora del tutto inatteso - ritorno alla Lega? Questa la prima risposta da dare. Chiusa ogni altra possibilità, il presidente della Repubblica traccerà la via verso il voto a novembre. Matteo Salvini, dopo aver lanciato i suoi ami a Di Maio, tace, nella speranza di tornare in partita se salterà il tavolo M5s-Pd. Ma è a quel tavolo che ora si tratta. A partire dal nome del premier. Roberto Fico, nome su cui i Dem avevano fatto trapelare il gradimento, si tira fuori in nome dell'unità del Movimento e fa sapere di voler «responsabilmente dare continuità al suo ruolo» di presidente della Camera. Quando, dopo una giornata di silenzio, Di Maio sente al telefono Zingaretti, ribadisce che la linea del Movimento, da Beppe Grillo in giù, è di «lealtà » a Conte: deve essere lui il premier giallorosso. Il segretario Pd dice che accettare il garante del contratto gialloverde non può. Di Maio lamenta il veto Democrat. Si salutano senza aver trovato una soluzione. Ma se ne cerca una: il dialogo è aperto, fanno sapere dal Nazareno. La soluzione cui Zingaretti e larga parte del Pd aspirerebbe come la meno dolorosa sarebbe quella di un premier terzo, anche se di indicazione M5s. In mattinata Paolo Gentiloni fa notare un sondaggio che dà il Pd in crescita mentre la Lega crolla: come a dire, il voto resta un'opzione. Ma nel partito si fa sempre più forte il pressing su Zingaretti perché apra a Conte. L'impuntatura sul no, gli fanno notare Matteo Renzi ma anche altri esponenti della maggioranza Pd, comporta il rischio di un ritorno alla soluzione M5s-Lega, con Salvini al Viminale. I renziani, che hanno la maggioranza nei gruppi parlamentari, aumentano il pressing sul segretario. Circola l'ipotesi di un governo Conte con i ministeri più pesanti al Pd: «Non accettiamo giochini», dicono i pentastellati. Per mettere un freno alle fughe in avanzi, Zingaretti convoca una conferenza stampa al Nazareno. Finora, spiegano dalla segreteria Dem, da Di Maio ha ricevuto solo dei no, ora vuole incontrarlo ed entrare nel merito. «Serve discontinuità anche sui nomi», sottolinea. Boccia la politica economica del governo M5s-Lega, invoca una svolta «green» e dice di voler dialogare su un patto di governo (non un contratto) con M5s e sinistra. La risposta a caldo del Movimento è durissima: «La soluzione è Conte e i dieci punti che abbiamo posto, non possiamo aspettare il Pd». «Parlate solo di poltrone», ribatte dalla segreteria Dem Andrea Orlando. In serata circola l'ipotesi che il Pd dica sì a Conte premier ma senza tutti gli altri ministri uscenti del M5s, incluso Di Maio.

Di Maio in difficoltà, tiene duro sul prof

Un governo «green», Giuseppe Conte premier, ministri Dem «puliti»: su questi tre pilastri si poggia la strategia di Luigi Di Maio per fa digerire al M5S e soprattutto alla sua base qualcosa di «quasi» indigeribile: l'accordo con il Pd. In questo senso il nome del premier uscente per il capo politico M5s è cruciale: in ben pochi tra i militanti anche con un ipotetico voto su Rousseau, direbbero «no» a colui che, in questi giorni, è l'uomo più forte dell'universo pentastellato. Non solo. La scelta di trincerare qualsiasi svolta filo-Dem dietro il mantenimento di Conte, nella strategia di Di Maio, ha anche una sua coerenza: l'uomo simbolo della rottura con la Lega non è stato, infatti, il leader M5S ma proprio l' «avvocato del popolo ». Che l'accordo con il Pd sia più vicino lo si nota anche dal silenzio dei filo-leghisti, a partire da Gianluigi Paragone. La giornata, per Di Maio, comincia però con una sorpresa solo apparentemente positiva: il sì del Pd a Roberto Fico premier. Una disponibilità del presidente della Camera avrebbe potuto mettere il capo politico davanti a un bivio: accettare la premiership del punto di riferimento degli ortodossi, cosa che avrebbe rovesciato, in maniera traumatica, le gerarchie interne del Movimento; o prendere le distanze dall'ipotesi di una premiership che, tuttavia, sarebbe stata di chiara impronta pentastellata. Fico annuncia il suo passo di lato. Il presidente della Camera, spiegano fonti a lui vicine, preferisce muoversi in una cornice istituzionale. Ma c'è un altro punto che potrebbe aver contato nella scelta di Fico: l'ottimo rapporto che c'è tra il presidente della Camera e Conte. Ed è subito dopo il passo di lato di Fico che Di Maio impone, a suo modo, un'accelerazione alla trattativa ribadendo a voce a Nicola Zingaretti la sua fermezza su Conte. E aprendo, invece, su una squadra di governo sulla quale il Movimento pone pochi ma dirimenti paletti: che gli esponenti del Pd siano «puliti », non riconducibili ad inchieste come Mafia Capitale e che nel nuovo esecutivo non siedano «big» renziani come Boschi, Lotti o lo stesso Renzi o politici sgraditi ai militanti come Laura Boldrini. Ma la partita dei ministri è apertissima, e tutta legata alla presenza o meno Conte. Per il quale, forse, Di Maio sarà costretto a fare delle rinunce: è improbabile che il capo politico accetti un suo passo indietro ma la permanenza di suoi fedelissimi come Bonafede o Fraccaro è molto in bilico.

 


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