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Data: 04/09/2023
Testata Giornalistica: CORRIERE DELLA SERA

Il giallo del dispositivo di sicurezza «Quella notte non ha funzionato» Torino, indagini sul sistema che avvisa se il binario è già occupato e sulle prassi delle aziende

La madre di Michael Zanera «Io non giudico Massa, anche lui era lì per lavorare E ora è morto dentro»


IVREA L’audio delle telefonate tra il dirigente movimento di Chivasso e il collega di Rfi sul campo e le immagini della telecamera sul binario uno, restituiscono una scena di una tranquilla tragicità: ben prima dell’orario previsto, mezzanotte, la squadra di operai viene mandata sui binari, e inizia a lavorare, appena passato quello che si pensava l’ultimo treno, come fosse la cosa più normale della mondo. Ora la Procura di Ivrea, che indaga sull’incidente di Brandizzo, vuole capire se questo modus operandi è una sciagurata eccezione o una terribile consuetudine (delle aziende): così, già oggi, potrebbero essere sentiti come persone informate sui fatti colleghi ed ex colleghi dei cinque lavoratori della Sigifer, uccisi nella notte tra mercoledì e giovedì scorsi.

Dopodiché, al di là dell’errore umano, i magistrati vogliono verificare le procedure di sicurezza e i sistemi di protezione della linea, in caso di cantieri. Partendo dall’ipotesi verso la quale convergono finora tutti gli indizi: l’interruzione della circolazione non fu mai data e, quindi, neppure il nulla osta per l’inizio dei lavori. Motivo per il quale l’ufficio diretto dal Procuratore Gabriella Viglione ha indagato Antonio Massa, 46 anni, la «scorta ditta» di Rfi al fianco degli operai, e Andrea Girardin Gibin, caposquadra della Sigifer: entrambi, con le accuse di disastro ferroviario e omicidio plurimo con dolo eventuale. I lavoratori furono invece fatti andare sui binari, nonostante mancasse l’ok, da riportare, per «iscritto e da firmare», con fonogramma, il cosiddetto modulo «M40».

L’inchiesta, coordinata dai pubblici ministeri Giulia Nicodemi e Valentina Bossi, si chiede anche cosa succeda in caso di disattenzione. Di errore umano, insomma. «E in questo caso il corto circuito di sicurezza non è partito, vedremo», ragionava un investigatore, impegnato in un sopralluogo sul binari. Il riferimento è ai «Circuiti di binario, i CdB»: circuiti elettrici costituiti da sezioni di binario, dette «controllate», che hanno lo scopo di segnalare la presenza di rotabili sul tratto. «Una delle tipologie di sensori del sistema Ccs (Controllo, comando e segnalamento), sono fondamentali per la sicurezza della circolazione», spiega Rfi nei documenti della sezione «Sicurezza e tecnologia». Circuiti che, generalmente, sono ubicati in determinati punti della linea e nelle stazioni. In assenza di rotabili, la corrente elettrica alternata immessa nel binario in un punto si richiude in un altro, attivando un dispositivo, detto ricevitore, che segnala il CdB come «libero». La presenza di un locomotore o di un vagone, attraverso i suoi assi, offre invece una via di richiusura alla corrente, creando un «cortocircuito», spegnendo il ricevitore: e il CdB risulta occupato. Il meccanismo dovrebbe funzionare anche in caso di lavori su un unico binario, ma con l’uso di determinati attrezzi metallici o, va da sé, se un pezzo di binario fosse smontato dalla linea. In ogni caso, il sistema non scattò: se per un malfunzionamento o meno, è un altro punto che accerterà l’inchiesta.

La madre di Michael Zanera «Io non giudico Massa, anche lui era lì per lavorare E ora è morto dentro»

Vercelli «Io non giudico nessuno, tantomeno lui. È un lavoratore, era lì per dare da mangiare ai suoi figli e immagino che oggi sia un uomo morto dentro. Non mi permetto di buttargli la croce addosso. Spero che si vorrà guardare a tutto il sistema della sicurezza, anche più in alto di lui. Spero che il sacrificio di mio figlio e degli altri almeno non sia stato invano, che le cose possano migliorare perché nessun altro muoia mai più come loro».

Rosalba Faraci ha 61 anni e da cinque giorni non ha più Michael, il suo unico figlio perduto nella notte drammatica di Brandizzo. Non c’è traccia di rabbia, nel suo tono di voce. E non c’è risentimento verso Antonio Massa, il tecnico di Rete ferroviaria italiana che ha dato il via libera per l’apertura del cantiere. Un ok tragico concesso anzitempo, senza avere la conferma dell’interruzione della linea. Senza quel «potete andare» di Massa suo figlio ora sarebbe ancora in questo mondo, eppure lei, Rosalba, non punta il dito contro il tecnico di Rfi, che immagina quasi con dolcezza fra pianto e tormenti. In questo segue il ragionamento del cognato Saverio che le sta accanto. Anche lui dice «non ce l’ho con Massa. Massa è la base e invece bisogna guardare anche all’apice di tutto il sistema, allo stato delle infrastrutture, ai ritmi di lavoro...».

Michael Zanera aveva 34 anni ed era un saldatore specializzato. La sua vita, come quella dei suoi quattro compagni di squadra, si è interrotta mercoledì 30 agosto alle 23.47. Il suo nome, dopo la disgrazia di Brandizzo, si è legato per sempre a un’immagine che lui stesso aveva diffuso via social poco prima di morire: la forma di un crocifisso comparsa mentre lavorava con la saldatrice. «È la prima volta che mi succede. Mentre saldo la rotaia mi è uscito un crocifisso. Dio mi vuole dire qualcosa...» aveva scritto postando la foto. Sua madre ora rivela: «Sono stata la prima a vedere quell’immagine. Me l’ha mandata e mi ha chiesto: “ma’, secondo te che vorrà dire? Sarà un brutto segno?” Ma no!, gli ho risposto io. Vedrai che sarà un segno buono...».

Spero che il sacrificio di mio figlio non sia stato invano, che le cose migliorino e che nessuno faccia più quella fine

Ci sono ricordi che tolgono il fiato. Rosalba sente ancora la voce di suo figlio, quella sera. Videochiamata alle 20.25. Lei era a Ischia con suo cognato che, da quando è morto suo marito (due anni fa) è diventato per lui un secondo padre. Chiacchiere, lo sfondo del mare - il mare della sua Campania - sul display del cellulare, e lui a Vercelli perché «aveva rinunciato a una settimana di vacanze», dice sua madre. «Aveva conti e bollette da pagare e così aveva deciso di riprendere a lavorare prima. Era un po’ debole come carattere ma era un gran lavoratore e un ragazzo d’oro, delizioso».

Rosalba non se l’è sentita in questi giorni di passare dalla stazione. Le hanno detto che per terra c’è ancora la calce a segnare i punti in cui sono stati trovati dei resti, e lei non vuole vedere quella scia bianca che racconta la morte. Se ne sta a casa del figlio accanto a Rocky, il cane di Michael che da quando non vede più il suo «capobranco» umano ha capito. Sa, come solo i cani possono sapere, annusa la disperazione nell’aria.

Non c’è nemmeno un corpo davanti al quale piangere. Per Rosalba il solo modo di riconoscere il suo ragazzo adorato è l’esame del dna. Non un vestito né una rosa da mettere nella bara. «Le rose le abbiamo posate sul cuore», dice Saverio in lacrime. I funerali? Lo zio di Michael parla anche a nome di Rosalba: «Noi non vorremo una cerimonia comune. Faremo un funerale singolo perché ci sembra più giusto così». Niente cerimonie di Stato né solennità per il loro addio senza rimedio.

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