ROMA I soldi sono usciti dalla porta, ma rientrati dalla finestra. Un ingresso secondario che, però, non fa dormire sonni completamente tranquilli. Nei rivoli dei 237 miliardi del Recovery e del fondone nazionale da 30 miliardi, ci sono anche 160 milioni destinati al Porto di Civitavecchia. Cifra non modesta, ma bel lungi dalle risorse sulle quali possono contare le capitali portuali europee. Anche perché si chiama Porto di Civitavecchia ma nei fatti è da sempre il Porto di Roma, sebbene fino ad oggi - forse anche a causa di una comunicazione inadeguata dei vertici - così non era mai stato considerato dalle amministrazioni centrali.
LE RISORSE In ogni caso, i primi 80 milioni provenienti dal fondone nazionale serviranno al cosiddetto cold ironing, l'elettrificazione delle banchine. È uno di quei progetti green che sono nel dna del piano di ripresa e resilienza europeo. Le navi da crociera che attraccheranno a Civitavecchia, non dovranno tenere più i motori accesi, ma potranno attaccarsi direttamente a un cavo elettrico che alimenterà la nave. L'impatto sull'ambiente è evidente. L'inquinamento dei motori in funzione è un problema irrisolto da anni (ogni nave inquina come una piccola centrale termica). Altri 80 milioni serviranno per le infrastrutture: il completamento dell'ultimo miglio dei collegamenti ferroviari. Insomma, apparentemente una buona notizia, ma con una criticità. Nelle precedenti bozze del Recovery, questi fondi erano finanziati direttamente con risorse europee. Soldi blindati ma anche tempi certi, visto che tutti gli investimenti devono concludersi entro il 2026. Ora, invece, sono finiti nel fondone nazionale, e ogni anno dovranno essere confermati dai documenti di finanza pubblica. Il timore, insomma, è che restino scritti sulla sabbia, soggetti alla sensibilità politica del momento. Eppure il Recovery, per il porto di Civitavecchia, o meglio per il porto di Roma, è un'occasione da non perdere. Oggi è il primo scalo europeo (ogni anno si contende il gradino più alto del podio con Barcellona) per le crociere; invece sul traffico delle merci è in fondo alle classifiche (quattordicesimo porto in Italia). Non riesce ad attrarre merci, pur avendo enormi potenzialità. Non solo la sua posizione che lo colloca al centro del Mediterraneo. Ma soprattutto il fatto di avere un vantaggio fisico che aveva visto già duemila anni fa l'imperatore Traiano. Ossia fondali naturali sassosi profondi 16 metri e quindi non soggetti a dragaggi continui. Senza bisogno di investimenti, nel porto di Civitavecchia possono attraccare le navi più grandi che circolando nel Mediterraneo. Decine di migliaia di cargo che oggi sono indirizzati per esempio verso Livorno, ma ci vanno più per ragioni storiche, non per un deficit infrastrutturale dello scalo romano.
IL FUTURO Uno sviluppo maggiore del Porto di Roma - meglio chiamarlo così d'ora in poi - garantirebbe una crescita maggiore e più equilibrata al Lazio, all'Abruzzo, all'Umbria e alle Marche di cui è il terminale ideale. Ma perché questo accada, servono molte più risorse e quelle «connessioni diagonali» a cui il Recovery italiano ha destinato solo 1,58 miliardi. Risorse che al momento non coprirebbero tutta la tratta ferroviaria Roma-Ancona, ma solo la parte Orte-Falconara: facile capire che ciò penalizzerà la connessione Tirreno-Adriatico. Di nuovo, insomma, ci si è preoccupati più dei collegamenti di Genova e Trieste, lasciando un buco nel Centro Italia.
C'è poi il tema dei ristori. Proprio il peso rilevante delle crociere ha messo in difficoltà Civitavecchia, che ha perso oltre il 90% dei traffico durante la pandemia. Nei giorni scorsi il presidente del sistema portuale del Mar Tirreno Centro-Settentrionale, Pino Musolino, ha ricordato come i soldi, i finanziamenti previsti nelle prime misure «Cura Italia» approvato ormai 13 mesi fa non siano ancora arrivati. «Tali misure - ha spiegato Musolino - sono ancora in itinere e queste forme di aiuto sono assolutamente necessarie, in particolare per un porto, quello di Roma-Civitavecchia, pesantemente colpito dalla pandemia a causa della grave crisi del settore crocieristico».