ROMA Una legge che consenta ai datori di lavoro di imporre ai dipendenti un trattamento sanitario non c'è. E attualmente il vaccino anti Covid-19 non è obbligatorio. Ma, in attesa che la questione venga normata e definita con chiarezza, il rischio di licenziamento incombe ugualmente sui dipendenti che si rifiutino di sottoporsi alla terapia per l'immunizzazione. A meno che non possano svolgere le proprie mansioni in smart working o essere destinati ad altro incarico, anche inferiore, purché non comporti il contatto con altre persone. L'interruzione del rapporto non sarebbe comunque immediata. Ruota tutto intorno all'articolo 32 del Testo unico sulla sicurezza sul lavoro, che rende il datore responsabile della salute di tutti i dipendenti. E la questione non sembra essere troppo controversa, anche se per le assunzioni e le prestazioni non è previsto, come un tempo, il certificato di sana e robusta costituzione.
L'ESPERTO A chiarire i termini della questione, è Roberto Pessi, prorettore alla Didattica della Luiss e professore ordinario di Diritto del lavoro. «Il datore di lavoro - spiega - si trova davanti a un problema di responsabilità rispetto agli altri lavoratori. Se un dipendente si rifiutasse di fare il vaccino non potrebbe permanere nei locali con altri, la questione riguarda la responsabilità civile. Ma è chiaro che potrebbe anche sconfinare nel penale. Quindi si potrebbe prevedere che il lavoratore non vaccinato utilizzi lo smart working, sempre che il tipo di mansioni che svolge lo consentano. Oppure dovrebbe essere allontanato, ma sarebbe una sospensione retribuita».
SOSPENSIONE RETRIBUITA La legge non prevede una sospensione della retribuzione, spiega ancora Pessi: «Sarebbe necessario l'intervento del legislatore per stabilire come procedere in questi casi, prevedendo, ad esempio, un'eventuale imputazione del periodo di sospensione alla cassa integrazione. Oppure considerare la sospensione come una sorta di malattia. A quel punto, però - aggiunge il giuslavorista - ci sarebbe un limite di tempo, dopo il quale il licenziamento è legittimo. Ossia sarebbe come una sopravvenuta invalidità, superiore all'80 per cento, che non consente al dipendente di svolgere le mansioni per le quali è stato assunto. E, dunque, dopo una fase di sospensione, il licenziamento per giusta causa sarebbe previsto dalla legge». Ma per Pessi una modifica normativa è indispensabile, «Anzi, auspico - dice - che venga inserita nel programma del nuovo governo».
SICUREZZA SUL LAVOROGli articoli del codice civile che possono mettere in difficoltà i no-vax non sono pochi, c'è anche l'articolo 2087 del codice civile, che obbliga il datore di lavoro ad adottare tutte le misure necessarie per garantire la sicurezza fisica e psichica dei suoi dipendenti e il loro benessere, o, come ha spiegato ad Agenzia Nova Lavinia Morrico, dello Studio legale lavoro MMBA, il Testo Unico Sicurezza in materia di virus, vaccini e sorveglianza sanitaria, all'articolo 279, prevede che, su conforme parere del medico competente, il datore di lavoro sia obbligato a mettere a disposizione dei lavoratori, che non siano già immuni dall'agente biologico, vaccini efficaci da somministrare a cura di medico competente. Al tempo stesso, nel Testo Unico Sicurezza (articolo 20) sono previsti obblighi a carico del lavoratore che deve collaborare con il datore di lavoro nell'esecuzione della misura, prendendosi cura della salute ma anche di quella di tutti gli altri soggetti presenti sul luogo di lavoro (colleghi o terzi). Quindi per i no-vax le prospettive sono tutt'altro che rosee.