NAPOLI Presidente Bonaccini, lei a inizio luglio ha sollecitato il governo a far ripartire il Nord, ,ma il messaggio vale anche per il Sud?
«Facciamo chiarezza una volta per tutte - risponde Stefano Bonaccini, presidente della Conferenza delle Regioni e dell'Emilia-Romagna - così evitiamo un dibattito ridicolo e surreale. Come ho detto, intervenendo alla Conferenza nazionale delle autonomie locali, non c'è nulla di più lontano da me del contrapporre Nord e Sud. Io mi sento prima di tutto italiano. Sono da 5 anni presidente della Conferenza delle Regioni: chiedete ai presidenti delle Regioni del Sud se abbia mai privilegiato una parte del Paese rispetto a un'altra. Il mio ragionamento è un altro: nel Nord si concentra gran parte dell'attività produttiva del Paese ed è indispensabile che nell'azione di governo ci siano politiche per la manifattura e per l'export se vogliamo ripartire. Ma il Nord da solo non basta: l'Italia, se vuole essere competitiva, deve mettere al centro il lavoro tanto al Nord quanto nel Mezzogiorno. Serve un piano nazionale di investimenti pubblici, ripeto: nazionale. E in quest'ottica i fondi dell'Europa devono essere una leva decisiva. Non a caso, insieme al Recovery Fund, da mesi insisto che non possiamo rinunciare al Mes».
Condivide l'idea di utilizzare una quota superiore al 34% , magari anche oltre il 40%, delle risorse del Recovery Fund e degli altri strumenti europei per ridurre i divari territoriali?
«Il Recovery Fund è un'opportunità storica. Finalmente l'Europa ha fatto l'Europa e il presidente Conte e il Governo hanno incassato un risultato importantissimo. Di fronte a una mole di fondi senza precedenti l'ultimo problema mi pare mettere in competizione i territori del Paese. E il divario territoriale da colmare è senz'altro una delle questioni di fondo da aggredire. Come Regioni stiamo chiedendo al Governo di renderci protagoniste sia della programmazione che dell'utilizzo di questi fondi. La mia preoccupazione, le assicuro, non è certo che troppe risorse vadano la Mezzogiorno, ma che quei soldi restino nei ministeri e dopo tre anni non siano spesi. Questo sì sarebbe inaccettabile. Vengo da una regione che sa spendere bene e in fretta, chiedo di poterlo fare per sostenere l'economia e la coesione sociale della mia terra, come è giusto che possano farlo le regioni del Centro e del Sud. Lavoriamo insieme, individuando alcune precise priorità - sanità, scuola, ambiente e territorio, innovazione, digitale e nuove tecnologie, semplificazione, infrastrutture - dentro un piano nazionale che veda protagonisti i territori sul piano attuativo. Io per primo, fatta la programmazione, voglio che la gestione sia il più vicino possibile ai cittadini e al territorio».
Nella sanità, il ministro Speranza spinge per una revisione dei criteri di riparto per considerare i costi legati alla deprivazione sociale. È possibile il sì delle Regioni?
«Le Regioni vengono sempre descritte come in perenne conflitto, ma non è così. Durante l'emergenza sanitaria, abbiamo preso all'unanimità la quasi totalità delle decisioni. Lo abbiamo fatto con spirito di responsabilità verso i cittadini e di collaborazione tra noi e con il Governo. Col ministro Speranza il confronto è uno dei più efficaci. Proprio perché serviranno molte risorse per adeguare il nostro sistema sanitario, a partire dai territori dove questo è più fragile, chiedo al Governo di non rinunciare alle risorse del Mes: servono a tutto il Paese, anzitutto al Mezzogiorno dove i cittadini meritano le stesse strutture e gli stessi servizi che pretendo per Bologna».