ROMA Ufficialmente l'incontro di lunedì tra i vertici di AcelorMittal e il premier, Giuseppe Conte, non è ancora confermato e potrebbe anche slittare a martedì. L'ennesimo segnale di una trattativa tutta in salita per convincere ArcelorMittal a rispettare gli impegni presi per il rilancio dell'ex-Ilva dopo la decisione, una settimana fa, di abbandonare il dossier. Del resto, se è vero che il premier è determinato a trovare una soluzione, rimane però un certo scetticismo ad avanzare una proposta senza le dovute garanzie da parte di Mittal che in campo non ci sono solo pretesti. Da parte sua la multinazionale punta a sedersi al tavolo solo per discutere delle condizioni già espresse. Il nodo più difficile da sciogliere è quello degli esuberi, accanto a quello dei livelli di produzione. Si capisce anche dallo scontro a distanza scattato ieri tra Confindustria e sindacati. Le crisi vanno gestite «con buon senso e serietà», non ignorate, dice infatti il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia. Dunque anche gli eventuali 5.000 esuberi dell'ex-Ilva chiesti da ArcelorMittal andrebbero più gestiti che rispediti al mittente.
Un messaggio al governo a caccia di soluzioni che non piace per niente alla Cgil di Maurizio Landini e alla Cisl di Annamaria Furlan, «Se pretendiamo che nonostante le crisi congiunturali le imprese debbano mantenere i livelli di occupazione, quindi finanziare disoccupazione e non mantenere le imprese, facciamo un errore madornale», ha detto Boccia al Forum annuale della piccola industria. Come fare? «Se c'è una crisi congiunturale legata all'acciaio, è inutile far finta che non ci sia», per il presidente di Confindustria. «Bisogna capire come gestire questa fase permettendo di costruire, come accade in tutte le aziende del mondo». Gestire significa assecondare il ciclo e sostenere le imprese con misure precise. «Ci sono strumenti come la cassa integrazione e gli altri, che si attivano in momenti congiunturali negativi delle imprese», ha spiegato ancora Boccia, «occorre affrontare il problema con serietà e buonsenso. Il punto è creare sviluppo in quel territorio, costruire altre occasioni di lavoro, ma non sostitutive, complementari». Un invito al governo a fare la sua parte, dunque, più che una difesa delle richieste di ArcelorMittal. «Se l'Ilva arretra per la congiuntura internazionale, ogni azienda deve avere una flessibilità congiunturale», ha concluso.
L'OFFENSIVA Parole «senza senso» per Landini: «C'è un accordo da far rispettare, firmato un anno fa, che prevede degli impegni», ha ribattuto a distanza il segretario generale della Cgil, «non sono cali temporanei di mercato che modificano piani strategici che prevedono 4 miliardi di investimenti. Quegli accordi vanno fatti rispettare: e anche lui dovrebbe chiedere alla multinazionale di rispettare il nostro Paese». Sulla stessa linea la Furlan convinta che «le imprese serie» affrontano le crisi confrontandosi col sindacato, non «chiudendo la fabbrica e lasciando a casa 5000 persone». Eppure, se c'è una speranza di trovare un accordo con ArcelorMittal per evitare il passo indietro e una lunga battaglia legale si gioca proprio sugli esuberi chiesti dalla multinazionale. Finora il premier, Giuseppe Conte ha definito la condizione «inaccettabile». E anche il ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli sembra aver lasciato pochi margini su questo fronte. «ArcelorMittal in nessun modo si impegna a produrre più di 4 milioni di tonnellate di acciaio l'anno e chiede 5 mila esuberi, non dà garanzie che queste siano misure di contingenza», aveva detto nei giorni scorsi il ministro alla Camera. Questo non significa, però, che il governo non sarà comunque costretto a trovare una strada per tenere conto della crisi del settore, come sollecita Boccia. Attraverso la cassa integrazione, ma anche altre strade per alleggerire in bilancio il costo di 10.700 lavoratori, di cui 8.200 a Taranto (oltre 1.300 sono già in cassa integrazione), senza contare i dipendenti dell'amministrazione straordinaria che sarebbero stati assorbiti nell'organico di ArcelorMittal (circa 2.000 di cui 1.600 in cig). A rischio ci sono oltre 40.000 posti di lavoro, tra esuberi, licenziamenti e mancato indotto, quasi 2 punti di Pil. Per ArcelorMittal c'è in gioco l'immagine reputazionale di chi straccia impegni precisi presi in un contratto firmato.
Esuberi, Conte vuole mediare: ma Arcelor deve darci garanzie
ROMA Riportare il gruppo franco-indiano al tavolo della trattativa in un incontro che potrebbe tenersi domani o martedì. Giuseppe Conte ha fretta di riprendere il confronto dopo il blitz a Taranto e il primo incontro avuto lunedì scorso con i vertici di ArcelorMittal durante il quale si è convinto che il nodo dello scudo penale è «solo un tassello» di una vicenda molto più complicata e che intreccia un calo della produzione (dovuto a dazi e crisi dell'auto), ad un clima giudiziario non particolarmente favorevole per chi investe nello stabilimento pugliese e alla mancanza - appunto - di una tutela penale per i nuovi amministratori.
I NODI Una settimana fa la multinazionale franco-indiana ha posto sul piatto 5 mila esuberi e un taglio della produzione di quasi il cinquanta per cento rispetto agli obiettivi indicati solo pochi mesi fa nel piano industriale. Malgrado le richieste siano dure, la trattativa per il governo è una strada obbligata e ieri l'ha indicata apertamente il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia immediatamente criticato dalla Cgil di Landini. Prima di avviare una trattativa, Conte vuole però conoscere le reali intenzioni dell'azienda perché «se i problemi sono solo un pretesto per chiudere», come sostiene la Cisl di Annamaria Furlan, allora non resta che prepararsi allo scontro nelle aule giudiziarie. Una guerra a suon di carte bollate che nel governo vede tutti dalla parte del premier che ieri l'altro, recandosi nello stabilimento ex Ilva e poi nei quartieri più esposti di Taranto, ha voluto metterci la faccia trovando dalla sua parte anche il neo commissario europeo Paolo Gentiloni che a Mittal e al governo ha mandato lo stesso messaggio: gli impegni vanno rispettati. Conte è consapevole che nella trattativa entrerà anche il tema della tutela penale, ma prima vuole da ArcelorMittal l'impegno che tra sei mesi non si presenti a palazzo Chigi con un nuovo piano industriale e nuove richieste. Trattare sugli esuberi, su un possibile sconto sul prezzo di acquisto e sulla tutela penale, per Conte è possibile, ma per Conte è necessario che ArcelorMittal prima chiarisca perché non intende rispettare gli impegni assunti con il governo Gentiloni.
La trattativa è comunque complicata e rischia di arenarsi ancora prima di partire. ArcelorMittal ha già compiuto passi concreti per uscire dal dossier dell'ex-Ilva, e se Lakshmi Mittal - o chi per lui - è comunque pronto sedersi al tavolo con Conte, qualora convocato ufficialmente, non è per cortesia istituzionale. Qualche margine di trattativa, seppure molto stretto, c'è. Ma dalla multinazionale fanno sapere che «abbiamo già espresso le nostre condizioni al governo e ora aspettiamo un'eventuale proposta sulla base dei nodi sollevati».
Per la multinazionale il punto di partenza ormai scontato è la reintroduzione dello scudo penale. Ma non basta. Per l'Altoforno 2 dovrà essere garantita la facoltà d'uso per un altro anno. Altro nodo non così difficile da sciogliere dopo l'incontro nei giorni scorsi dei commissari straordinari con il procuratore capo di Taranto. Ben più delicato è il capitolo degli esuberi: ufficialmente Mittal ne ha chiesti 5.000 strutturali, e anche se il governo ha prontamente rispedito indietro la richiesta, una mediazione sembra possibile anche se non facile e subordinata al via libera sindacale. Una base su cui lavorare potrebbe essere l'offerta fatta dalla stessa multinazionale prima della lunga trattativa con i sindacati, 8.480 dipendenti totali in Italia, ovvero circa 2.300 in meno rispetto a quelli poi assunti. Magari Arcelor potrebbe chiedere qualche esubero in più. Ma già così il governo si troverebbe a gestire attraverso gli ammortizzatori sociali quasi 4.500 lavoratori, visto che i commissari straordinari hanno già in gestione 2 mila lavoratori, di cui 1.600 in cig. Infine la quarta e ultima condizione già avanzata dalla multinazionale: ArcelorMittal chiede di poter lavorare in un clima meno ostile. Il riferimento è ai rapporti con il governo- attuale e passato - considerato lo scontro che dura da mesi sullo scudo penale. Ma in realtà l'obiettivo di ArcelorMittal è anche quello di avere un clima più sereno con i sindacati ma anche con tribunali e Procure.