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Data: 22/05/2022
Testata Giornalistica: IL MESSAGGERO
    IL MESSAGGERO

D'Amico: «Accuse ingiuste otto anni di sofferenza» L’ex rettore assolto dalla Cassazione per il doppio incarico Ateneo-Tua. «Si sono voluti vendicare per i milioni che ha fatto risparmiare all’Erario»

L'ex rettore dell'Università e ed ex presidente di Tua, Luciano D'Amico, dice di far fatica a gioire per la sentenza della Cassazione che lo assolve da tutte le accuse sul doppio incarico nei due enti, «perché dopo otto anni (la vicenda giudiziaria ha avuto inizio nel 2014, con 20 persone delle forze dell'ordine che ti aspettavano sotto l'ateneo), sei deprivato di ogni energia». Il suo è un duro j'accuse anche se il sistema giudiziario è «fatto di uomini che possono sbagliare» per una vicenda che «sperò produrrà, attraverso la mia esperienza, una sorta di contropartita, come un miglioramento che però ad oggi non mi sembra di vedere».
C'è dell'amarezza nel suo timbro di voce «ma l'impegno ancora più rilevante è ora fare in modo che questo sistema possa essere riformato evitando che le leggi poste a tutela dei cittadini vengano strumentalizzate e utilizzate per interessi personali e spesso inconfessabili». Difatti D'Amico si riferisce al suo vissuto istituzionale quando appunto nei suoi due enti la lui presieduti ha prodotto risparmi: «Nel mio periodo di presidenza Tua ho tagliato costi aumentando servizi per 12 milioni di euro annui; al rettorato teramano ho tagliato costi aumentando il servizio per 7 milioni annui: in totale sono 19 milioni di risparmi per l'Erario». Cifre da sommare per tutta la durata dei suoi mandati che fa una cifra considerevole (circa 70 milioni) e questo, secondo D'Amico, «ha dato fastidio a qualcuno che ha cominciato a scrivere lettere anonime, di cui almeno una riportata per intero nelle informative della Polizia giudiziaria, per costringermi alle dimissioni».
CALVARIO
Purtuttavia durante tutti questi anni di calvario non ha smesso mai di sperare per il suo giudice a Berlino, quindi giusto, che poi avrebbe ritrovato anche a Teramo e a Roma: «Non ho mai dubitato dell'esito del processo perché ho sempre saputo di aver fatto bene nel rispetto della legge. In questi otto anni di preoccupazioni però sono saltate opportunità e ho dovuto accantonare alcuni progetti». Insomma, una parte del suo futuro è stato sospeso assieme alla sua crescita istituzionale.
Ripercorrendo la sua vicenda, D'Amico dice di «esser stato colpito dai modi della polizia giudiziaria che, procedendo nelle acquisizioni, ha creduto di avere di fronte delinquenti, e mi riferisco anche ai dipendenti dell'ateneo». Dice inoltre di essere stato deluso dall'atteggiamento dei tre componenti della Polizia giudiziaria tra incertezze e indecisioni: «Mi ha fatto male per l'idea che ho io della cosa pubblica». E va da sé che l'ex rettore si soffermi sul tema dei controlli come ai tempi dei liberi comuni, dei Camerlenghi: «I personaggi pubblici sono sottoposti a questi che non possono essere esercitati senza regole e senza le necessarie garanzie che tutelano il cittadino che decide di impegnarsi nella cosa pubblica». Qui il tema della responsabilità dei giudici è evidente.
Sugli sbagli giudiziari D'Amico ha la sua idea: «Credo che anche la magistratura inquirente rifletta il paese, vi sono magistrati bravi e meno bravi e affatto bravi, lo sforzo deve essere di sistema per fare in modo che al di là delle persone singole l'intera magistratura inquirente possa procedere con maggiore efficacia. Questo è possibile con un sistema di valutazione adeguato. Chi opera nella cosa pubblica deve rispondere della propria attività da chi amministra a chi esercita l'azione penale».

22 maggio 2022 il messaggero

 

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