Data: 18/11/2020
Testata Giornalistica: IL MESSAGGERO |
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Autostrade, piano tariffe bloccato per lo scaricabarile dei ministeri. Ancora nessuna intesa sui pedaggi che determinano il valore della società. Il nodo ristori a causa del Covid.
ROMA Tra cavilli burocratici, pressing e contro-pressing politici e inviti perentori a chiudere (per ora disattesi), l’intreccio che tiene inchiodato il Piano tariffario (Pef) di Autostrade è ormai una matassa difficile da districare. Il fatto è che nessuno sembra volerlo firmare, e senza di quello è praticamente impossibile stabilire il valore della società. E chi deve comprare - Cdp, Blackstone e Macquarie - non ha idea di quale cifra offrire. L’unica percezione che si ha della vicenda, a 12 giorni dall’ennesima scadenza utile, è di un riprovevole scaricabarile tra ministeri. E Palazzo Chigi sta a guardare. IL REBUS Per avere idea dell’importanza del Pef, basti dire che è solo dal Piano che si può “estrarre” il valore di Autostrade: ogni discussione tra i vertici di Atlantia e gli emissari del governo è del tutto inutile senza una base per l’elaborazione del prezzo. Più di uno sono i fronti della trattativa: il primo, quello più rilevante, riguarda l’incremento dei pedaggi, il parametro cardine per definire quanto incassa una società e, quindi, quanti investimenti si possono fare e quanto rende la concessione agli azionisti. E il fatto che dopo quasi otto mesi la forchetta della tariffa sia ancora vaga nonostante il Mit abbia fissato all’1,75% l’incremento massimo, la dice lunga sulla qualità del confronto.Acominciare dalle osservazione dell’Autorità dei Trasporti (Art), che insiste per modulare i pedaggi con criteri perlomeno discutibili. Uno dei parametri è la perdita che Autostrade ha registrato a causa del crollo del traffico (26,6%) nei nove mesi di pandemia. L’azienda, anche in virtù dell’accordo di luglio con l’esecutivo, aveva chiesto che il calo record non pesi solo sul gestore ma venga assorbito, sia pure in minima parte, dalla nuova tariffa. Per tutta risposta l’Art ha girato nuovamente la pratica al Mit, chiedendogli di emanare un regolamento standard per definire come e in che misura l’effetto pandemia possa influire sul pedaggio. Una misura che, occorre sottolinearlo, va parametrata per tutte le concessionarie. Nessuno però vuole completare il regolamento, che pure è in fase di elaborazione. Naturalmente il tornado giudiziario che ha travolto l’ex ad Giovanni Castellucci sulle mancate manutenzioni non ha aiutato ad accelerare i tempi. Anzi, tutto sembra nuovamente arenato nella palude dei rimpalli. Ed è evidente che senza un accordo sui ristori per il calo del traffico non si può chiudere il nuovo Piano tariffario. Peraltro, il regolamento per il recupero del traffico è atteso da tutto il settore autostradale, non solo da Aspi. Ma ci sono anche altre due questioni irrisolte. La prima riguarda l’occupazione. Sempre l’Art chiede all’azienda di velocizzare digitalizzazione e automazione, con ritmi accelerati (2,2% all’anno per 5 anni) per recuperare produttività. Se l’indicazione fosse accolta, Autostrade dovrebbe oggi mandare a casa circa 1.000 esattori. Di qui la controrichiesta di spalmare in 10 anni tutta l’operazione. Il terzo punto riguarda le manutenzioni. Anche qui, silenzio. Infine, nel suo parere l’Authority ha acceso un faro sui costi per le manutenzioni incrementali programmate per il 2020-2024. La società ha messo nero su bianco una proposta del valore di 1,2 miliardi per le manutenzione straordinaria, cui si aggiungono altri 1,2 miliardi di investimenti non remunerati in tariffa. Ma anche qui l’Art ha risposto picche senza produrre una motivazione degna di tale nome. Per concludere, appare evidente che nessuno vuole assumersi la responsabilità di firmare un Piano che potrebbe essere foriero di forti polemiche. Ma fino a quando durerà il rimpallo tra un ministero e un organismo tecnico, difficilmente assisteremo al passaggio di Aspi ai nuovi azionisti. |
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