ROMA Autostrade per l'Italia è una società robusta, sostanzialmente sana, che però, se continuamente scossa, potrebbe andare in frantumi con danni gravissimi per tutta la filiera. Lo si capisce leggendo alcune delle 446 pagine del bilancio 2019 della concessionaria. L'elemento più rilevante, finora non emerso, è che Aspi può operare solo grazie a un finanziamento di circa 1 miliardo messo a disposizione da Atlantia, la holding infrastrutturale. Soldi freschi che servono per pagare gli stipendi dei 7.000 addetti che gestiscono la principale rete autostradale italiana e mettere qualche toppa nei prossimi mesi visto che il crollo del traffico causa virus ha ridotto drasticamente gli introiti al casello.
I VINCOLI Ma la società, a causa della più volte annunciata revoca della concessione nei termini previsti dall'articolo 35 del Milleproroghe - che l'hanno di fatto esclusa dal mercato dei capitali - non può reggere a lungo senza liquidità propria. I numeri parlano chiaro: a dicembre 2019 Autostrade aveva un debito di circa 10 miliardi, effetto delle attività degli anni precedenti e composto in prevalenza da obbligazioni possedute da non meno di 7.000 piccoli risparmiatori italiani. Un importo in linea con quello delle altre concessionarie autostradali europee, diventato però difficilmente sostenibile dopo che, lo scorso gennaio, il cambio delle norme imposto in modo unilaterale dall'esecutivo ha fatto crollare il rating di Atlantia e di Aspi di ben tre scalini, a livello junk, cioè spazzatura.
La sfida è difficile. Non è un mistero che nei prossimi 7 anni Aspi avrà bisogno di circa 13 miliardi di nuove risorse per finanziare gli investimenti - e ripagare i debiti che a mano a mano scadranno - e che questo passaggio sarà cruciale per la vita dell'azienda. A tutto questo, come accennato, si somma il crollo di traffico per il virus, che solo quest'anno porterà in cassa 1 miliardo di ricavi in meno e che vede, anche nel 2021, una riduzione stimata di oltre il 7% sul 2019. Ecco perché gli analisti hanno due scadenze in agenda: tra rimborsi dei bond e mancati ricavi, a giugno 2020 e a febbraio 2021 Aspi potrebbe andare in sofferenza di cassa per circa 400 e 900 milioni. Un problema serio, cui sta provando con fatica a rimediare cercando finanziamenti alternativi per supportare gli investimenti.
Da un lato Aspi sta valutando di accedere alla garanzia Sace prevista dal Decreto Liquidità, dall'altro chiede a Cdp di poter usare una linea di credito di 1,3 miliardi stipulata nel 2017 anche se, paradossalmente, finora ha ottenuto un diniego dall'istituto di Via Goito, che si è trincerato dietro gli effetti del Milleproroghe. Questa situazione rischia anche di compromettere il programma di investimenti da 14 miliardi (di cui almeno 5 miliardi entro il 2023) che Autostrade sta realizzando (con opere come la Gronda di Genova e il Passante di Bologna), oltre che il piano di manutenzioni da oltre 2 miliardi entro il 2023. Soldi che darebbero un grande aiuto al Pil, soprattutto nella fase di rilancio post Covid-19 (ogni euro investito produce 2,5 euro di effetto indotto a livello del Pil).
IL NEGOZIATO Aspi e Atlantia hanno messo sul piatto del governo (scrivendolo nero su bianco in bilancio) 2,9 miliardi per chiudere la partita della revoca. In cambio il gruppo privato chiede una modifica dall'articolo 35 del Milleproroghe per riacquistare lo status di investment grade nei giudizi delle agenzie di rating e quindi, come in passato, l'accesso diretto al mercato dei capitali, finanziando così gli investimenti senza garanzie dello Stato.
Finora, al di là di qualche contatto, nessuna risposta ufficiale è arrivata dal governo, nonostante il premier Giuseppe Conte avesse dato pubblicamente la propria disponibilità a valutare delle proposte, che sono state formulate da Aspi il 5 marzo. Il silenzio dell'esecutivo e l'ostracismo sul credito proprio mentre si stanno riversando sulle imprese diverse decine di miliardi di fondi pubblici non sono comprensibili ad analisti e investitori esteri, che iniziano a chiedersi a chi possa giovare questo immobilismo.
La preoccupazione che circola tra analisti e fondi d'investimento è che si stia delineando un disegno per far perdere sempre più valore alla società, per avviare una nazionalizzazione a poco prezzo e contro le regole di mercato. Se ciò fosse vero sarebbe molto grave: non a caso su questo tema alcuni investitori esteri di Atlantia, il cui flottante è pari al 70% del capitale, stanno coinvolgendo prestigiosi studi legali per affilare le armi.