ROMA La partita su Autostrade, che mercoledì 3 potrebbe tornare sul tavolo di Palazzo Chigi, rilancia nomi della finanza internazionale che potrebbero presto avere ruoli da protagonisti. Come per esempio quello del fondo australiano Macquarie che, dopo aver espresso interesse per il dossier alcuni mesi fa, ora ha chiesto e ottenuto di essere ammesso alla dataroom sui dati finanziari della concessionaria autostradale, aperta proprio per sondare la possibilità di coinvolgere eventuali nuovi soci di minoranza. La notizia non è di buon auspicio per il sistema Aspi, perché aprire il capitale al fondo australiano potrebbe rivelarsi assai cagionevole per la salute di Aspi. Per dirla in breve, la reputazione di Macquaire non è certo ciò di cui avrebbe bisogno la società controllata da Atlantia, in cerca di stabilità e di lunga visione. Non è un mistero che il fondo abbia modi aggressivi, tipici di uno strumento a leva che in genere si indebita, entra nel capitale della società target e poi pretende di rientrare dall'investimento attraverso massicce erogazioni di dividendi. Insomma, un approccio di breve termine, teso solo alla migliore remunerazione del capitale, che non è esattamente in sintonia con la strategia di investimenti e manutenzioni di medio-lungo periodo necessaria alle autostrade italiane.
Una modalità operativa, quella di Macquaire, che ha già generato più di una vicenda giudiziaria. Basti ricordare la più recente, riportata dal quotidiano spagnolo Expansion: circa 10 giorni fa la CNMV (la Consob spagnola) ha presentato un esposto al governo iberico per l'eccessivo indebitamento che Macquarie e Cvc Capital starebbero caricando su CLH (la Snam spagnola che gestisce gli oleodotti da e verso il Paese) accennando anche a pratiche poco chiare rispetto alla distribuzione dei dividendi. A ciò si aggiunga il fatto che a settembre 2019 ha avuto inizio a Bonn il processo che vede Macquarie Bank coinvolta insieme ad altre banche in una frode fiscale per 55 miliardi in diversi Paesi Ue (Italia compresa, per un danno erariale valutato oltre 4 miliardi). L'inchiesta tedesca si basa sulla compravendita di azioni nella fase immediatamente precedente allo stacco cedole e sul rimborso al fisco della tassa sui capital gain. Un meccanismo che prende il nome di cum-ex e che si basa sulla restituzione dell'imposta sui capital gain che vengono applicati ai dividendi, anche se queste imposte non sono mai state pagate. La compravendita di azioni sarebbe avvenuta celando l'identità dell'effettivo proprietario, consentendo alle parti coinvolte di chiedere un doppio rimborso dell'imposta.
Va detto che Macquaire ha cumulato un track record non proprio positivo anche nel settore autostradale: fece scalpore il fallimento nel 2014 della Indiana Toll Road, acquistata dal fondo nel 2006 per 3,8 miliardi di dollari dallo Stato dell'Indiana (Macquarie aveva impegnato solo un decimo di denari propri, il resto erano prestiti bancari). Dopo otto anni, l'Indiana Toll Road aveva accumulato 5,8 miliardi di debito e fu lasciata fallire. Un esempio non certo beneaugurante per un matrimonio che si vorrebbe risolutivo di una situazione che tiene in ansia il Paese da quasi due anni.