Data: 09/02/2020
Testata Giornalistica: IL MESSAGGERO |
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«Autostrade, fatti degli errori ma il settore adesso va difeso» Il presidente Aiscat: «Sulle concessioni confronto aperto, non allontanare gli investitori dal Paese»
Presidente Fabrizio Palenzona, la tragedia del Ponte Morandi ha innescato non solo il dibattito sulla necessità di rivedere le regole sulle tariffe autostradali ma di fatto ha messo sotto accusa l'intero sistema delle concessioni. Lei guida l'Aiscat, l'associazione dei concessionari. Che cosa pensa a riguardo? «Mi faccia dire prima di tutto che il crollo del Ponte di Genova è stato un vero e proprio dramma. Un disastro di una gravità assoluta che ha causato la morte di 43 persone, un dolore insopportabile per tutte le famiglie delle vittime e la sofferenza di un'intera città. Chi ha sbagliato deve pagare. Ma compete alla magistratura, che sta lavorando seriamente e bene, fare giustizia». E' però l'intero sistema autostradale italiano ad essere finito nel mirino. «Ripeto chi ha sbagliato pagherà. Non si può però distruggere un sistema industriale su spinte emotive o demagogiche. Questo tipo di propaganda ha causato troppe volte la distruzione di interi settori produttivi. E l'Italia non può certo permetterselo. Anzi, il Paese necessita di un grande piano di manutenzione straordinaria e di sviluppo tecnologico per ammodernare e sostenere Pil e crescita. Tutti insieme governo, istituzioni, imprenditori e banche devono mettere a punto un grande programma realizzabile di investimenti infrastrutturali per rilanciare il Paese. Non sto parlando solo di autostrade ma di telecomunicazioni, energia, pagamenti digitali, servizi finanziari. Nel mondo è in corso una grande rivoluzione legata al digitale, al green, all'ambiente e alla sostenibilità. L'industria italiana non può perdere questa occasione. Non può restare indietro pena un grave impoverimento sia economico che sociale». Torniamo alle concessioni autostradali. «La mia posizione è chiara: non si deve annientare un sistema che ha fatto e fa scuola nel mondo - ne sono la prova gli investitori internazionali e globali presenti nei capitali delle società - crea occupazione, con livelli tariffari inferiori alla media europea e prestazioni di servizio equivalenti e a volte migliori. Una infrastruttura che ha contribuito e contribuisce alla crescita del Paese assicurando la mobilità di persone e merci più di qualsiasi altro settore». La tragedia di Genova ha però aperto scenari inquietanti. I controlli non hanno funzionato e una riforma, come chiede il governo, è inevitabile. «Si può fare tutto di comune accordo. Senza strappi e intenti vendicativi che non sono consoni alla natura stessa delle istituzioni. Tutto è migliorabile, anche ripensare una rimodulazione delle tariffe, per esempio in funzione della fluidità del traffico, ma prioritario per il Paese è assicurare gli investimenti indispensabili a una rete che ha 60 anni, è di proprietà dello Stato e ha assoluto bisogno di essere ammodernata. Tutto questo deve essere fatto garantendo l'equilibrio economico e finanziario dei piani messi a punto dai concessionari e assicurando una adeguata remunerazione del capitale privato investito. Non bisogna mai dimenticare che i pedaggi finanziano gli investimenti che altrimenti non potrebbero essere realizzati se non attraverso il ricorso al debito pubblico». E come valuta il fatto che in non pochi casi le regole non sono state rispettate? «Tutti devono rispettare le regole. E chi non lo fa deve pagare. Ma questo vale anche per lo Stato. Inoltre, bisogna dire chiaramente ai cittadini che nulla è gratis. Per garantire la giusta manutenzione ci sono solo due vie: il pedaggio a carico di chi usa l'infrastruttura o pagare tutti attraverso le tasse. Aggiungo che violare la certezza del diritto rappresenterebbe un danno enorme perché i grandi investitori, internazionali e non, lascerebbero l'Italia. Un rischio che non ci possiamo permettere visto i vincoli di bilancio dello Stato. Non solo. Il danno poi coinvolgerebbe tanti risparmiatori incolpevoli. La tutela del risparmio è un preminente interesse pubblico, prima ancora che un dovere». Ragionamento ineccepibile ma, scusi se continuo a battere sullo stesso tasto, i controlli non hanno funzionato. «Allora lavoriamo tutti, Stato in primis per farli funzionare!» Sì ma Aspi non l'ha fatto... «Siamo tutti consapevoli che a Genova è successa una tragedia. E il fatto stesso che Aspi abbia, con il nuovo piano industriale, triplicato gli investimenti ed affidato a terzi i controlli dimostra che c'era un gap da colmare, che mancava una cultura specifica. Ci sono però anche i doveri del pubblico che aveva l'obbligo di controllare in maniera più efficace. Ora si sta voltando pagina con l'impostazione di un sistema di monitoraggio, d'intesa con le università, più efficace e capillare. Un sistema sofisticato in grado di controllare materiali, vita utile, stabilità. Un salto di qualità, con risorse stabili e verifiche trasparenti. Ne sono la riprova l'annuncio di Aspi sull'affidamento alle migliori società al mondo e con le più avanzate tecnologie delle ispezioni sulle 500 gallerie più importanti. E ciò vale per tutte le concessionarie autostradali italiane». Alcuni osservatori sostengono che la privatizzazione di Autostrade sia stata un regalo per i Benetton. «Questo è un mito da sfatare. Lo Stato, quando decise di mettere in vendita Autostrade, pensò, in un prima fase, di potere ricavare circa 2,800-3.000 miliardi di vecchie lire. Non soddisfatti decisero di rendere più attraente il contratto di privatizzazione, non solo allungando la concessione al 2038 (era al 2018) ma modificando la prima impostazione e così l'incasso per lo Stato schizzò a 16 mila miliardi di lire. Nonostante questo, ricordo bene che non ci fu la coda per partecipare a quella gara. Tutt'altro. La famiglia Benetton venne chiamata, dall'allora presidente di Autostrade spa Giancarlo Elia Valori, a completare il nocciolo duro dei soci. Già allora, comunque, le truppe dei pentiti della privatizzazione non tardarono a farsi sentire. Incassati i soldi, alcuni cominciarono a gridare allo scandalo chiedendo di modificare il meccanismo tariffario, abbassando l'adeguamento al tasso d'inflazione dal 100 al 60%. E cosi avvenne nonostante una sentenza del Consiglio di Stato di opinione opposta». Visti i risultati di bilancio di Autostrade, non mi sembra che chi chiedeva diverse condizioni avesse torto. «Il contratto lo avevo scritto lo Stato, non i Benetton. Comunque ognuno deve fare la propria parte. Per tornare al tema centrale, quando i controlli erano in capo ad Anas, le cose funzionavano. Poi il governo decise di passare i controlli direttamente al ministero. Li è iniziato il declino. I concessionari danno oltre 700 milioni l'anno per canoni e sovraccanoni e parte di questi soldi dovevano servire a potenziare i controlli e non a tappare buchi di bilancio. È il ministero che ha la responsabilità sui controlli e sull'approvazione dei progetti. Come esplicitamente richiesto dal Procuratore di Genova Cozzi, bisogna ripensare tutto. Il sistema va reso efficace ed efficiente». E sul fronte Aspi che cosa va fatto? «Gli investimenti ed i controlli sono stati insufficienti. Difficile sostenere il contrario. Lo stesso nuovo amministratore ha subito segnalato l'anomalia». Si continua a parlare di revoca della concessione ad Aspi, di maxi multa, di compensazioni miliardarie, di taglio dei pedaggi. E' in corso una trattativa. Lei sa qualcosa? «La trattativa spetta alla società ma ritengo che i nuovi vertici abbiano la consapevolezza della delicatezza del tema. Credo ci sia un prezzo da pagare, oltre ai costi per i danni causati. Si tratta del danno punitivo come avviene negli Usa, ma prestando la massima attenzione alla sostenibilità dei conti. Non servono vendette su Aspi, sui dipendenti, sui risparmiatori, sugli investitori, su chi non ha colpe». Quindi la riduzione dei pedaggi è la giusta strada per risarcire i danni causati con il crollo del Ponte? «Tutto quello che va a beneficio degli utenti va bene, ma la demagogia è una cattiva consigliera. Il tema principale è l'ammodernamento del sistema infrastrutturale e la sua sostenibilità finanziaria nel lungo periodo. Se lo schema non regge gli investitori spariscono. Aiscat si batterà in Europa per la tutela del mercato. Ci sono fondi esteri speculativi che comprano e scappano ma ci sono anche investitori di lungo termine che ritengono il nostro Paese appetibile se affidabile con regole chiare e trasparenti. Cambiare improvvisamente il quadro normativo è devastante. Cambiare unilateralmente è un controsenso». Ma se il governo insistesse con la revoca, visto le gravi inadempienze del concessionario, cosa accadrebbe? «Sarebbe un gravissimo danno per il Paese. Distruggerebbe un settore che primeggia nel mondo. Sarebbe solo una vendetta». Sono circolate molte voci sul possibile ingresso di nuovi soci in Aspi. Esiste allora un piano alternativo? «Spetta al vertice di Atlantia decidere ma credo esista una disponibilità nell'ambito di soluzioni trasparenti e di mercato». A suo giudizio i Benetton dove hanno sbagliato dopo il crollo del Ponte? «Hanno sbagliato a continuare a lasciare un uomo solo al comando. Serviva un immediato cambio manageriale che poi è avvenuto. La discontinuità è la prova che hanno capito». |
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