Data: 23/08/2023
Testata Giornalistica: CORRIERE DELLA SERA |
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Addio al segreto sui salari dei colleghi Così la Ue favorisce la parità di genere Lo impone una direttiva: chi si candida per un posto avrà tutte le informazioni per negoziare
In Europa le donne guadagnano in media il 13% in meno degli uomini. Ma come si fa a contrastare questa disparità, se le lavoratrici non sanno quanto prendono i loro colleghi maschi per fare il loro stesso lavoro? Proprio per questo la direttiva Ue 2023/970 per la parità di retribuzione fra uomini e donne prevede il divieto del segreto salariale. Le lavoratrici e i lavoratori, quindi, potranno conoscere gli stipendi dei colleghi che svolgono lo stesso lavoro. La direttiva è entrata in vigore a maggio, l’Italia e gli altri Paesi membri avranno tre anni di tempo per recepirla: il termine è fissato il 7 giugno del 2026. Il gender pay gap. Ma perché si è deciso di eliminare il segreto salariale? L’obiettivo è superare il gender pay gap che in Europa continua a pesare, malgrado il principio della parità di retribuzione sia stato sancito nel 1957 dai trattati di Roma. Tra i fattori che alimentano il divario retributivo tra uomini e donne c’è l’insufficiente trasparenza dei salari, che impedisce di identificare i casi di discriminazione. La direttiva 2023/970 stabilisce che i lavoratori e i loro rappresentanti abbiano il diritto di ricevere informazioni chiare ed esaurienti sui livelli retributivi individuali e medi, suddivisi per genere. Inoltre non dovranno esserci clausole contrattuali che impediscano ai lavoratori di divulgare informazioni sulla loro retribuzione o di chiedere informazioni in merito ad essa o alla retribuzione di altre categorie di lavoratori. Il livello retributivo iniziale o la fascia di riferimento dovranno essere resi noti già negli annunci di lavoro o prima del colloquio. L’idea è che chi si candida possa avere a disposizione tutte le informazioni necessarie per valutare l’offerta e negoziare la propria retribuzione. Diritto all’informazione. «La direttiva si applica ai datori di lavoro del settore pubblico e privato e a tutti i lavoratori che hanno un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro quale definito dal diritto, dai contratti collettivi e/o dalle prassi in vigore in ciascuno Stato membro», si legge all’articolo 2. Ai lavoratori viene riconosciuto il «diritto all’informazione» in base al quale potranno «richiedere e ricevere per iscritto informazioni sul loro livello retributivo individuale e sui livelli retributivi medi, ripartiti per sesso, delle categorie di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore». La risposta da parte del datore di lavoro deve arrivare entro e non oltre due mesi dalla data della richiesta. «Se le informazioni ricevute sono imprecise o incomplete, i lavoratori hanno il diritto di richiedere, personalmente o tramite i loro rappresentanti, chiarimenti e dettagli ulteriori e ragionevoli riguardo ai dati forniti e di ricevere una risposta motivata», si legge nel testo. Risarcimento. La direttiva stabilisce anche che chi ha subito una discriminazione retributiva basata sul genere possa ottenere un risarcimento che comprenda «il recupero integrale delle retribuzioni arretrate e dei relativi bonus o pagamenti in natura, il risarcimento per le opportunità perse, il danno immateriale, i danni causati da altri fattori pertinenti». Inoltre, in caso di contenzioso, l’onere della prova spetterà al datore di lavoro, che dovrà dimostrare di non aver violato le norme europee in materia di gender pay gap e trasparenza retributiva. Obblighi per le imprese. Le imprese con più di 250 dipendenti dovranno riferire ogni anno all’autorità nazionale competente in merito al divario retributivo di genere all’interno della propria organizzazione. Le imprese più piccole lo dovranno fare ogni tre anni. In Italia l’obbligo di comunicazione esiste già: le aziende pubbliche e private con più di 50 dipendenti devono pubblicare una relazione, ogni due anni, sull’occupazione e la remunerazione del personale maschile e femminile. Mentre quelle con meno di 50 dipendenti possono preparare un rapporto su base volontaria. |
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